Notizia tratta da “Il Piccolo” di Trieste: http://ilpiccolo.gelocal.it

Gli speleologi degli Gruppo Speleologico Amici del Fante, Gruppo Speleologico Lindner, Talpe del Carso e Società Adriatica di Speleologia partecipano al progetto coordinato dall’Università di Trieste e in questi giorni stanno effettuando dei tracciamenti delle acque a una cinquantina di metri appena dal confine di Brestovizza, a Jamiano.

A fine giugno sul fondo della Grotta di Comarie è stata rilevata la fluoresceina che è stata immessa nell’inghiottitoio sudorientale del lago di Doberdò per cercare di individuare i percorsi sotterranei di deflusso. È la prova del collegamento sotterraneo tra lago e grotta.

A Comarie è stato invece immesso del sale da cucina per aumenta la conducibilità dell’acqua, i cui valori possono quindi essere utilizzati per misurare la velocità di ricambio della stessa.

L’insieme del monitoraggio, completato in questi giorni con nuove esplorazioni e scaricando i dati in continuo, ha permesso di individuare un’immissione di acqua profonda e poi un flusso in uscita abbastanza superficiale, con un movimento idrogeologico definito «molto interessante». Passi avanti significativi per il “salvataggio” del lago di Doberdò. L’immersione degli speleosub ha permesso di individuare un canale di deflusso di circa 60 centimetri di larghezza e 30-40 di altezza che potrebbe essere collegato con la Grotta dei Colombi, verso Medeazza, dove un team francese sta indagando il corso del Timavo.

È stato individuato anche il canale di afflusso, nel lato nord della grotta.

Le prove di tracciamento delle acque del lago hanno dimostrato come parte delle acque finisca nel Timavo, oltre che a Sablici e quindi alla Moschenizza. Comprendere quale sia l’idrografia del Carso è importante per l’ambiente, ma anche per la salute, ed ha risvolti concreti.

«A qualche centinaio di metri da qui – ha detto Gemiti, durante le operazioni a Comarie –, oltre confine, ci sono i pozzi di Clarici che alimentano l’acquedotto del Carso sloveno, mentre l’acquedotto triestino ha delle pompe di emergenza alla Moschenizza. Da tempo sostengo quindi che i trasporti di idrocarburi lungo il Vallone andrebbero eliminati, per evitare possibili inquinamenti delle falde».

Il lavoro serve a mettere a punto il piano anti impaludamento del bacino carsico del lago di Doberdò

C’è una nota aggiuntiva pervenuta attraverso WhatsApp che integra questa notizia che è doveroso aggiungere:

Già nel 1987 il Centro Ricerche Carsiche “C. Seppenhofer”, attraverso una campagna di studi durata un intero anno, aveva dimostrato che una parte delle acque del Lago di Doberdò effettivamente arrivava nella Grotta di Comarie.
Dopo una ricerca idrochimica, durata come si è detto un anno, svolta grazie ad una profiqua collaborazione tra il C.R.C. “C. Seppenhofer” e l’allora Presidio Multizonale di Prevenzione di Gorizia (USL n. 2), fu pubblicato uno studio negli Atti del Museo Civico di Storia Naturale di Trieste (vol. XLI, fasc. 2, 1987-1988) a firma di Valter Bordon, Graziano Cancian e David Pintar, tre soci del C.R.C. “C. Seppenhofer” che in quel periodo si sono prodigati, in modo estenuante, nella campionatura delle acque sotterranee ogni due settimane.
Successivamente, in tempi recenti, un lavoro dettagliato e meticoloso della circolazione delle acque nel sottosuolo del Carso goriziano è stato intrapreso dalla Federazione Speleologica Isontina, con la collaborazione di tutti i gruppi federati, anche in questo caso il lavoro è durato più di un anno e ha portato alla pubblicazione di un corposo volume su cui si possono leggere i risultati di questa ricerca.
Anche il dott. Sergio Dolce, ex direttore del Museo di Storia Naturale di Trieste, aveva fatto dei campionamenti in quelle grotte tramite traccianti biologici ancora più di venti anni fa dimostrando il collegamento tra le acque di Doberdò e le varie grotte tra cui quella di Comarie.

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