Nell’entroterra marchigiano, a Montemonaco e Comunanza, si sono svolti due incontri tematici sul possibile sviluppo del territorio attraverso alcune iniziative “ambiental-turistiche”, tra le quali la possibile realizzazione di un sentiero tra le montagne dell’appennino piceno e Assisi.
Al di la del connubio tra turismo fatto di suore, frati scalzi, bus di pellegrini compranti bottiglie di acqua santa e gadget paradisiaci di Assisi, e il turismo di chi fa trekking sui Sibillini con tutt’altro spirito e con tutt’altra ambizione, durante gli incontri il sindaco di Montemonaco ha ventilato il sogno recondito di “riaprire” l’Antro della Sibilla, sull’omonimo Monte Sibilla.
La “grotta” è stata fatta saltare da beceri cattolici ferventi in epoca imprecisata, preoccupati per la frequentazione del luogo da parte di streghe, negromanti, maghi e fattucchiere.
L’opera di distruzione è comunque riuscita ai dinamitardi perchè della grotta rimane una ferita aperta su un prato, con massi di notevoli dimensioni accatastati uno sull’altro, probabilmente i resti di quello che un tempo era il “soffitto” di una cavità sotterranea.
Della Grotta della Sibilla si è scritto molto nei secoli passati, dal Guerrin Meschino che ci andò in cerca delle sue origini e rimase all’interno della grotta ammaliato dalla diabolica regina Sibilla, al cavaliere francese Antoine de la Sale, che andò a vedere se il Monte della Sibilla, la sua grotta e il lago di Pilato erano veramente come quelli rappresentati su un arazzo posto nel salotto di una dama francese. Il mito del cavaliere errante tra leggenda e realtà inizia verso il 1300 – 1400, quando un prete locale, tal Antonio Fumato (chissà che s’era fumato) accompagna due tedeschi alla grotta e tra fumi e vino rosso ha raccontato di draghi, ponti, porte di ferro che sbattono, tutto questo all’interno della grotta.
Alcune descrizioni tuttavia (correnti d’aria, ponti, corsi d’acqua, statue di cristallo) seppur gonfiate fanno pensare che effettivamente li sotto possa esserci una grotta di discrete dimensioni e l’ipotesi è supportata da una serie di diaclasi parallele alla cresta del monte, che affiorano per qualche centinaio di metri senza mai permettere di andare in profondità.

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