l’articolo comparso sul giornale locale

Il 9 Novembre di cinquant’anni fà la CGEB segnava una pagina di storia. Mario Gherbaz e Adelchi Casale, da soli a -675m in invernale al Gortani, explo e osservazioni scientifiche.

ingerersso de Gortani con neve
Marietto e Adelchi verso il fondo
sul fondo del gortani ( primo fondo 1967)

Cosi scrisse Giovanni Badino

MARIETTO
Volevo lasciare una nota personale sul
ruolo che ha avuto Mario Gherbaz per la
speleologia in generale, e per me in partico

lare; credo infatti che non sia stato stimato
quanto meritava, soprattutto in patria, forse
a causa del suo caratterino. Non sono mai
stato troppo intimo di Marietto, e non gli ho
mai detto quello che sto per raccontare. E
del resto in Marietto ho sempre sentito una
grande stima per me, quasi tacita, accompa

gnata a mezza voce da un po’ di irritazione
per il fatto che non fossi triestino.
Per me Marietto è stato un mito dell’a

dolescenza.
Lo avevo incontrato quando muovevo i
primi passi nella speleologia, nel 1971. Tutto
preso dall’emozione della scoperta di un
intero mondo da esplorare, avevo rovistato
nella minuscola biblioteca del gruppo spele

ologico di Savona trovando la cronaca delle
esplorazioni che avevano fatto lui e Adelchi
Casale in Gortani.
Mi avevano colpito due cose. Una era
l’enormità dell’impresa “sportiva”: in due
per quasi dieci giorni e con innumerevoli
sacchi (andavano avanti a scalette) avevano
portato avanti un’esplorazione straordinaria
in una grotta che, all’epoca, era al vertice
delle difficoltà. Il contesto “normale” delle
esplorazioni in quegli anni era di super-
spedizioni con squadre di appoggio, di punta
e di recupero. L’impresa degli esploratori
bolognes-faentin-torinesi della Preta – abis

so che aveva avuto l’onore di contribuire
a formare la testa di Marietto – era stata
rivoluzionaria, ma si trattava comunque di
una grossa squadra che si era distribuita
nell’abisso per permettere a due di loro di
raggiungere il fondo. L’impostazione era
quindi ancora tradizionale.
Con Marietto e Adelchi al Gortani si era
entrati in una nuova dimensione, anche se
sono sicuro che loro non se ne erano resi
pienamente conto: avevano formato una
squadra leggerissima, autonoma, che avan

zava tutta insieme, come quelle che avreb

bero operato in Apuane e nel Marguareis
molti anni dopo.
Non solo. La lunga permanenza, erede
dei passati stili esplorativi, obbligata dalle
tecniche pesanti che ancora utilizzavano,
anticipava l’approccio che poi sarebbe stato
utilizzato per le profondità estreme degli anni
’90 e 2000, ancora in Apuane ma soprat

tutto in Caucaso e Asia Centrale, quando
neppure le tecniche di sola corda avrebbero
più permesso di mantenere le permanenze
sotterranee a livelli civili.
Insomma, la loro impresa annunciava
tempi nuovi. Ma questo è ancora nulla.
La discesa -siamo nel 1967- era ben lungi
da una pura impresa in caccia di record
esplorativi; i due avevano condotto ricerche
biologiche, osservazioni sui pipistrelli, misure
di temperature e osservazioni mineralogiche.
Ma ricordo che mi aveva soprattutto col

pito un dettaglio: l’articolo raccontava che
loro cercavano uscite verso la Val Raccolana
sui piani di gallerie perché avevano capito
la struttura del Gortani, che è una grotta
eminentemente orizzontale (!..). Questo era
incredibile, coglievano la tridimensionalità
e il rapporto della grotta con la struttura
esterna della montagna, anticipando di anni
l’approccio esplorativo più avanzato che
avremmo poi utilizzato sulla scia di Fighierà
e compagnia. E, del resto, il diavolo sa per

ché mai questo dettaglio mi avesse colpito
così tanto ai miei 18 anni, completamente
ignorante della speleologia vera e perso in
una cittadina lontana dal mondo delle grotte.
Anni dopo anch’io sono disceso in
Gortani tante volte con gli amici della
Commissione; avendo finalmente avuto mo

do di valutarne la struttura, mi ero sorpreso
a vedere come quella lezione non fosse stata
percepita dai successori di Marietto. Gli
abissi del Canin erano diventati soprattutto
dei luoghi di imprese incredibili, di armi e
riarmi e camminate bestiali e fatiche e sforzi
e rilievi in meandri ignobili. Ma si era perso
di vista il complesso del sistema carsico,
la sua unitarietà, che andava ben al di là
dell’impresa sportiva.
Credo di averlo un po’ restaurato io, col
mio lavoro sull’ormai lontano “Abissi Italiani”,
descrivendo il sistema delle grotte del Canin
come un complesso che occupa l’intera
montagna ma i cui punti chiave sono i grandi
freatici come la Galleria del Vento e non i
subdoli approfondimenti che proseguono
i lapiaz esterni, sviando verso il basso gli
esploratori. Ora credo che le conoscenze
del sistema siano andate moltissimo avanti
grazie agli speleologi ungheresi, e mi spiace
che non si sappia di più.
A me rimane distinta la memoria dell’emo

zione che mi suscitò la lettura di quell’impre

sa, e il ricordo del nascere in me il desiderio
di emulare Marietto e Adelchi. Negli anni
credo di averlo fatto, ma si sappia che è stato
anche perché sono salito sulle loro spalle.
Mi spiace non aver mai avuto l’occasio

ne di dirlo a lui, e così l’ho raccontato qui.
Grazie di tutto, Marietto.
Giovanni Badino

Di

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *