Digressione sulla comunicazione in speleologia attraverso internet, dello speleologo Giuseppe A. Moro in arte Maio
A cosa serve la comunicazione in speleologia, il passaggio dalle riviste specializzate, ai bollettini, ale mailing list, a Scintilena, a Facebook.
Analisi di quello che servirebbe, di quello che manca, di come potrebbe essere.

Comunicazione in speleologia nell’epoca dei social
Giuseppe A. Moro in arte Maio
Scambiare informazioni fra individui diversi è un’attività che tutti gli animali e le piante fanno, ma è essenziale nelle popolazioni di organismi detti “sociali”. Senza comunicazione non ci può essere società, ovvero un complesso sistema di relazioni che permette a un gruppo di individui di fare cose che nessuno di loro potrebbe fare da solo.

La capacità di trasmettere informazioni limita le dimensioni di un gruppo e altre sue capacità. Pensateci, qual è la prima cosa che facevano gli antichi romani appena conquistavano un territorio? Costruivano un efficiente sistema di comunicazione per connetterlo con Roma. Non c’era solo la necessità di facilitare lo spostamento di militari e beni, chi governava aveva bisogno di ricevere informazioni e inviare ordini. Senza comunicazione, non avrebbe potuto esistere il sistema sociale, politico, militare ed economico che chiamiamo “Impero Romano”.

La nostra capacità di scambiare informazioni oggi è grande. Questo articolo potrebbe essere letto in quasi tutto il mondo, anche se è probabile che una signora settantenne che vive in una valle dell’Afghanistan non abbia modo (né interesse) di leggerlo. Comunque sia, il mio articolo può raggiungere oltre un miliardo di persone e il fatto che venga letto dai soliti 50 o 60 speleo italiani è solo una questione di interesse (scarso) di ciò che scrivo, unito alla mia incapacità di fare promozione.

Un tempo gli speleologi che vivevano distanti gli uni dagli altri comunicavano attraverso una via “veloce”, rappresentata dalla posta, e una via “lenta”, costituita dalle pubblicazioni. Quando spostarsi divenne sempre più facile, fu possibile anche creare degli eventi in cui gli speleologi avevano l’opportunità di comunicare verbalmente, si chiamavano congressi.

Pensate alla descrizione del Cerkniško jezero (Lago Circonio) di Johann Weikhard Freiherr von Valvasor, il primo a parlare di “carsismo” nel 1687. Nel novembre di quell’anno il Valvasor scrisse innanzitutto una lettera alla Royal Society di Londra, dando un resoconto dei suoi studi su questo lago carsico. Ma nel XVII secolo si fecero spazio quelle che oggi chiamiamo riviste e così un estratto della sua relazione venne pubblicato su Philosophical Transactions of the Royal Society, la prima rivista scientifica al mondo. Il termine stesso “rivista” deriva, secondo il Vocabolario Treccani (vedi scheda) dall’inglese review (revisionare o passare in rassegna). Caratteristica di una rivista è che gli autori non possono pubblicare quello che gli pare senza una revisione da parte dei responsabili della rivista stessa. Ricordiamo che anche nel caso degli atti dei congressi, non è possibile pubblicare tutto ciò che si invia come resoconto del proprio intervento.

All’opposto di questo sistema lento e controllato c’è la comunicazione diretta e verbale, che grazie alla rete di comunicazione globale è possibile a grande distanza e con un pubblico sconfinato. Il mio articolo per l’appunto può raggiungere oltre un miliardo di persone. Ma è un tipo di comunicazione senza revisione, sto scrivendo su un blog che ho creato io, su una piattaforma pubblica, assumendomi la responsabilità di ciò che scrivo sia dal punto di vista morale che legale. Nessuno mi impedisce di pubblicare, ma questo atto equivale a portare il sabato sera uno sgabello in Piazza San Giacomo (la piazza degli aperitivi di Udine), montarci sopra e iniziare a tenere un discorso sulla speleologia e la comunicazione. Assai verosimilmente si fermerebbero ad ascoltarmi molte meno di 50 persone, fra cui quasi certamente un paio di agenti della Polizia Locale, che comunicherebbero con l’Azienda sanitaria perché valuti la necessità di un provvedimento di trattamento sanitario obbligatorio (il famoso TSO).

Del mio discorso rimarrebbe, nella storia cittadina, forse un articoletto nel Messaggero Veneto (il quotidiano locale) e nei siti web di informazione locale.

Se tenessi il mio discorso al congresso nazionale di speleologia, probabilmente avrei un pubblico superiore alle 50 persone, ma inferiore alle 100, però ne rimarrebbe traccia negli Atti del congresso, in un articolo sottoposto a revisione. Gli Atti vengono archiviati nelle biblioteche e quindi il mio discorso potrebbe raggiungere qualcuno dopo un anno, dieci, forse più. Lasciamo perdere per ora l’inadeguatezza dei siti web nel conservare le informazioni nel tempo: la fragile e infiammabile carta è un supporto adatto a conservare informazioni per secoli, se adeguatamente trattata. Un computer? È un po’ come il cervello umano, da giovane sembra velocissimo e imbattibile, ma prima o poi le informazioni si perdono.

Comunque sto divagando.

Cosa succede quando pubblico qualcosa su Facebook? Accade qualcosa di simile a quando vado a pontificare in piazza, ma con un vantaggio: nel caso di Facebook il mio post raggiunge preferibilmente i miei “amici”, fra cui c’è un’elevata frequenza di speleo. Sto lanciando il post in una piazza con milioni di potenziali lettori, ma nella realtà solo un paio di centinaia lo vedranno comparire sulla loro “bacheca”. Ai non speleo il post non interessa e tireranno dritto, salvo un paio di quelli che mi gratificano spesso con un “like” o un commento a scopo umoristico. Mi gratificano è il termine chiave.

In Plaze San Jacum vedrei molte decine di persone (a Udine cento persone in centro sono considerate una folla oceanica) e percepirei chiaramente il disinteresse della maggior parte di loro, avrei difficoltà a percepire l’interesse di pochi, ma sicuramente avrei la netta sensazione di essere considerato un pazzo o un idiota da tutti gli altri. Su Facebook percepisco solo l’esistenza di chi ha letto il titolo del mio post, o guardato l’immagine che vi ho associato per attirare la sua attenzione, non ho idea di quanti siano i disinteressati, anche se so quanti “amici” ho e sarebbe facile fare un calcolo. Su Facebook basta un “like” da parte di qualcuno, che magari non ha letto tutto questo testo, per farmi sentire importante. Ci sono diversi studi sull’effetto dei “likes” nei social network e molti concordano sul fatto che si inneschi nel nostro cervello una catena di eventi che si traducono in “gratificazione” o “soddisfazione”. Per noi animali sociali è bello sapere che un altro individuo ha ricevuto la comunicazione e l’ha trovata interessante.

Su Facebook si pubblica al volo, si ottiene gratificazione e si ha l’illusione di raggiungere in modo efficace un pubblico enorme. Oltre tutto c’è la possibilità di fare commenti e, in quella sede, avviare una discussione. Le discussioni su Facebook, se non c’è accordo fra le parti, degenerano sempre in polemiche infruttuose, divagazioni e talvolta offese più o meno gratuite. Non c’è quasi mai qualcuno a moderare la discussione, anche se un commento può essere segnalato. Se un post genera un grande dibattito, ci saranno molti commenti e risposte a ogni commento. Dopo un’ora o due sarà impossibile seguire la discussione, a meno che non si passi tutto il tempo nel tentativo di farlo, quindi si finirà per abbandonarla, lasciando dietro di sé una scia di commenti inutili, che non avranno modificato minimamente la percezione del pubblico in relazione all’argomento su cui si stava discutendo. Inoltre di tutto questo rimarrà traccia in archivi che nessuno consulta, a parte coloro che vengono incaricati di istruire cause legali per ingiuria o diffamazione.

Facebook è un modo veloce per fare sapere ai miei “amici” speleo che domenica scorsa sono stato sul Monte Mia (Prealpi Giulie) e ho osservato con interesse una serie di doline perfettamente allineate lungo quella che, al mio occhio profano, appare una struttura tettonica. Questa informazione, che potrebbe avere (in altri tempi) una rilevanza nello studio del fenomeno carsico e dell’idrogeologia di quel massiccio, sarà persa, a meno che non scriva un breve resoconto sul Libro delle Uscite del Circolo Speleologico Idrologico Friulano, che conserva la maggior quantità possibile di informazioni prodotte dai propri Soci a partire dal 1897. Meglio sarebbe se scrivessi un articolo per la rivista Mondo Sotterraneo, che dal 1904 raccoglie i lavori dei nostri Soci e di altri studiosi del carsismo, ma non potrei certo limitarmi a scrivere “ho visto una fila di doline”. Qui casca il palco, con tutti i suonatori: Facebook mi dà gratificazione, mi permette di pubblicare rapidamente qualunque cosa, se non è una notizia approfondita non importa, anzi più breve è meglio è. Se l’informazione non è corretta, forse qualcuno me lo farà notare, ma assai probabilmente molti se la berranno così com’è, perché non c’è revisione. Dopo un giorno l’informazione verrà fagocitata, diluita nel flusso incessante di migliaia di pubblicazioni analoghe. Bada bene cara lettrice, considero quel mio post alla stregua della foto del gattino coccoloso che ha pubblicato tuo cugino ieri.

C’è qualcosa nel mezzo?

In Italia c’è La Scintilena, uno spazio editoriale completamente in rete, dove gli speleo hanno la possibilità di pubblicare articoli più o meno lunghi. Tutto è iniziato con il passaggio in rete, nel 2003, del bollettino dell’UTEC Narni e per lungo tempo a pubblicare c’era solo Andrea Scatolini, il fondatore. Quello che faceva Scatolo era raccogliere le informazioni che altri speleo diffondevano, piazzarle in un post e pubblicarle sul suo sito, che così assunse rapidamente l’aspetto e le funzioni di un blog. In seguito Scatolo coinvolse sempre più persone, finendo per attivare un centinaio di account per altrettanti autori, che a quel punto potevano scrivere direttamente il proprio articolo. La pubblicazione avveniva comunque dopo che Scatolo aveva letto l’articolo e valutato se fosse opportuno pubblicarlo o meno. È sempre stato di “manica larga”, a volte rischiando grosso quando qualcuno eccedeva nella polemica e sconfinava nella diffamazione e ingiuria. La Scintilena aveva, ed ha tutt’ora, la possibilità di colmare un vuoto fra buttare due righe su un social network e scrivere un articolo per una rivista di speleologia. A un certo punto però Scatolo si rese conto che anche gli articoli pubblicati su La Scintilena rischiavano di essere effimeri, o di lasciare dietro di sé una scia di testi più o meno corretti o ben scritti. Il problema della transitorietà è stato risolto raccogliendo in collezioni, in formato elettronico, gli articoli già pubblicati. Rimaneva la questione chiave della qualità formale e sostanziale degli articoli.

Gran parte degli italiani non ha tratto gran profitto dalla scuola elementare, ora detta primaria di primo grado. Quando leggiamo ciò che viene postato sui social, o le mail che vengono distribuite attraverso la mailing list Speleoit, ci possiamo rendere conto del fatto che molti testi siano sconclusionati e sgrammaticati. Sorvolando sulla sintassi, gran parte di noi non sa comunicare. I post e le mail sembrano più che altro dei flussi di pensiero poco organizzato. Si parla dell’esplorazione nel ramo Pincopalla della Grotta Cipppalippa, omettendo un sacco di informazioni che servirebbero a contestualizzare i fatti e inquadrare le informazioni. In genere sembra che tutto sia sottointeso, ma c’è un grande impegno nel comunicare i nomi dei partecipanti Gino, Pina, Immacolata, Genuflesso e Cassy. Proviamo pure a descrivere le nostre emozioni, la gioia della scoperta, ma affidandoci per lo più all’esperienza di chi legge. Se proponessimo quegli scritti a chi non è mai stato in grotta o non ha mai esplorato nulla nella propria vita, li troverebbe sconclusionati e privi di interesse. Non siamo scrittori.

Per ovviare a questo problema Scatolo ebbe un’idea un paio di anni fa: coinvolgere qualcuno che sa come gestire la comunicazione, perché lo fa di mestiere. Comunicazione intesa come contenuti e forma, perché se si trattasse di veicolo, ovvero di trasmettere dati come sequenze di impulsi, Scatolo sarebbe imbattibile, considerato che per lavoro crea e gestisce reti di comunicazione. La scelta fu quella di individuare qualcuno che potesse assumere la Direzione di La Scintilena e darle un’impronta professionale. Questa persona è stata Valeria Carbone Basile, di professione giornalista. Una direzione affidata a una professionista implica necessariamente che gli articoli scritti male, sgrammaticati, senza capo né coda, imprecisi, offensivi, diffamatori non possano essere pubblicati. Per evitare che questo accada, è necessario che ogni articolo venga letto e valutato, corretto o integrato, se il caso respinto. È un lavoro molto diverso e molto più oneroso rispetto a quello che veniva svolto in origine da Scatolo, che pure ci dedicava una quantità folle di tempo. Una redazione composta da tre persone deve svolgere un lavoro adeguato per pubblicare solo ciò che è ben scritto e può essere pubblicato su un organo di stampa gestito in modo professionale.

Se si vuole pubblicare quasi tutto, coinvolgendo più persone possibile e facendo partecipare un gran numero di speleo, bisogna tenere molto bassa l’asticella della qualità ed evitare solo i più macroscopici rischi di illegalità; questo però non è un lavoro fatto in modo professionale. Posso farlo io, può farlo Scatolo, non può farlo la giornalista Valeria.

Il 18 maggio 2021 Scatolo ha comunicato di ricoprire nuovamente l’incarico di Direttrice de La Scintilena in prima persona, dichiarando che i “motivi sono strettamente tecnici e di gestione, in quanto secondo me il processo di elaborazione delle notizie alla lunga era insostenibile in termini di risorse e di tempo impiegato” (Andrea Scatolini – vedi l’articolo).

Io ho pubblicato pochissimo su La Scintilena perché ho sempre avuto un approccio di quel tipo: non mi interessa pubblicare tanto per esternare o buttare lì una notizia, voglio farlo bene, tentando di usare correttamente la lingua italiana e adottando una struttura del testo che lo renda fruibile. Lo scopo è trasmettere qualcosa, comunicare, non gratificarmi. Per questo motivo ho aperto un blog personale, che ho definito “diario”, proprio perché sia chiara la sua natura. È una finestra aperta sul mio pensiero e sulla mia attività speleologica, anche se parlo spesso di temi a carattere “generale” o dell’attività di altri, non è una rivista, non ha la pretesa di informare il pubblico o di lasciare traccia nella storiografia speleologica.

Quello che mi manca è colmare il vuoto fra la fascia bassa (post sui social, blog personale) e la fascia alta (rivista, atti di congresso). In questo spazio possono trovare casa notizie che hanno rilevanza nel brevissimo periodo, oppure informazioni che possono generare comunicazioni più formali e durature. Questa distinzione, a mio avviso, è importantissima. Il mio “spazio di mezzo” ideale dovrebbe essere suddiviso in almeno due sezioni: una dedicata alla cronaca quotidiana, l’altra alle notizie che è bene vengano conservate nel tempo, insieme a riflessioni che siano qualcosa di più di una semplice cronaca.

Se desidero fare sapere a molti speleo che è crollato l’ingresso 2 della grotta Tirfor, è opportuno che la notizia circoli il più rapidamente possibile. Devo scrivere bene, circostanziare, ma non è necessario che faccia un’introduzione in cui spiego dove si trova la grotta, qual è la storia delle esplorazioni, che sviluppo noto ha e altre informazioni importanti che dovrei includere, se scrivessi un articolo che comunichi il superamento di 5 chilometri di sviluppo noto e rilevato topograficamente. Si tratta di due notizie diverse, che richiedono articoli diversi. Nessuna delle due però deve essere data con un testo sgrammaticato e sconclusionato.

Un problema molto grosso, almeno per me, è avere la capacità di scrivere bene usando il minor spazio possibile. Questo articolo è scritto molto male: è lunghissimo, pieno di esempi, digressioni. Chiunque abbia letto fino a questo punto ha dovuto impiegare molto tempo e resistere alla tentazione di chiedersi se valesse veramente la pena di farlo. Questo dipende dal fatto che sono un discreto oratore, un dignitoso scrittore di testi scientifici, ma un pessimo comunicatore. La comunicazione ben fatta è un prodotto professionale, io sono biologo ambientale, posso dirvi se sia possibile che un animale viva in una data area e come fare a favorire la sua presenza, ma non è il mio mestiere scrivere di comunicazione. Il risultato è evidente.

Quindi, dove voglio andare a parare?

Desidero che questo vuoto fra livello basso e alto della comunicazione venga colmato, credo sia possibile adottando tecniche e metodi differenti per informazioni che abbiano caratteristiche diverse, ma come farlo non lo so proprio.

Articolo originale: https://speleomayo.wordpress.com/2021/05/19/comunicazione-in-speleologia-nellepoca-dei-social/

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