di Giorgio Pannuzzo
Strana punta in Demetrio Stratos…
Sabato mattina io ed Enrico siamo pronti a entrare in D. Stratos.
Grandi speranze: ci sono diverse vie allettanti scoperte settimana scorsa e siamo ben caricati (in tutti i sensi).
C’è una bella presenza di acqua, ma nulla di mortale, non ci fermerà.
Arrivati al fondo di -270, verso le 11.30, mi rendo conto che manca qualcosa di essenziale, che è rimasto in auto… Imprecazioni e autoflagellazione a tutto spiano.
Pensare che proprio per preparare i materiali ero andato a nanna alle 3.00 di venerdì notte, il sonno perso sicuramente mi ha giocato un brutto tiro… Ok, non tutto è perduto. Stasera dovrebbe entrare una nuova squadra a dare il cambio ad Enrico, possono portare giù loro ciò che manca.
Nel frattempo abbiamo la possibilità di fare tutta una serie di attività, poi Enrico uscirà ad un orario tale da poter incontrare gli altri prima che entrino, per dirgli cosa portare.
Prepariamo qualche foro nella strettoia del fondo, sostituiamo una corda per eliminare una giunzione aerea e poi saliamo fino a -235.
Da qui parte la condotta assurda (splendida sopra, sordidamente infangata sotto) che finisce su pozzo e poi sull’inesplorato.
Armiamo il primo salto di una decina di metri che era stato sceso in modo avventuroso (armo a uomo) settimana scorsa.
Meandro breve e nuovo salto vergine, di profondità indecifrabile.
Enrico arma anche questo e parte.
Abbiamo poco tempo, quindi rinviamo il rilievo. Non possiamo rischiare che gli altri entrino senza il materiale mancante.
Il nuovo salto è foderato di fango. Una frattura, anche abbastanza ampia, che a un certo punto cambia direzione e più giù presenta una specie di ponte naturale.
Il posto perfetto per frazionare e giuntare una nuova cordina.
Si riprende la discesa, con la corda appena sufficiente per raggiungere il fondo più triste del mondo.
Un imbuto di fango con una specie di sifoncino e un palmo di acqua.
Aria zero.
A occhio e croce siamo intorno ai -280, ma l’aver (forse) superato l’altro fondo non ci dà proprio nessuna soddisfazione.
Sono le 15.30 passate ed è proprio ora che Enrico esca.
Spero di non dover aspettare a lungo gli altri, non era prevista questa permanenza solitaria.
Pian pianino risalgo verso il ramo principale, facendo qualche pausa per mangiare, cambiare le pile, soddisfare necessità fisiologiche.
Arrivato fuori dalla condotta mi guardo intorno per capire meglio il grosso pozzo-camino che fa da punto nodale.
Decido, visto che gli altri non si sentono, di attaccare il meandrino ascendente visto da Mauri settimana scorsa.
L’arrampicata per raggiungerlo è di pochi metri, ma non è delle migliori.
C’è fango dappertutto, in caso di caduta si finisce dritto nel pozzo, e io non arrampico certo come Mauri.
Oltretutto sono pure in solitaria, escluso provare a fare cazzate.
Recupero la corda dal pozzo e inizio una specie di artificiale, mettendo 3 fix.
Raggiungo la saletta da cui parte il meandrino, è quasi comoda e c’è una bella corrente d’aria.
Io sono inzuppato da acqua e fango e l’effetto non è gradevole.
Guardo il punto da aprire… non è lavoro da poco e, soprattutto, non si intravede prospettiva certa di ambiente percorribile.
L’aria però è proprio notevole, un tentativo si può fare, sperando di non dover fare scavi prolungati quaggiù.
Inizio a fare un buco, poi il freddo mi toglie ogni energia.
Ok, sono praticamente fermo da un po’, adesso è meglio che mi muovo, se no vado davvero in ipotermia.
Decido di risalire ancora un pozzo per guardare un camino laterale intravisto a -220.
Per entrarci bisogna scavare tra detrito e lame, quindi mi do’ da fare.
Adesso l’aria sta aumentando e sono pure in un passaggio stretto, quindi prende velocità e fa un bell’effetto frigo.
Dopo un po’ di lavoro il varco è sufficiente e mi caccio dentro.
Bell’ambiente, velo di concrezione e spazi ampi, soprattutto verso l’alto.
E poi niente fango, non ci si crede, anzi, la roccia è proprio pulita e asciutta, o quasi, sembra una grotta diversa.
Non si riesce a vedere la cima del camino e nemmeno la finestra che ipotizzavamo, proveniente da un pozzetto cieco trovato più su.
Arrampico in libera lungo un anfratto laterale e mi alzo di 5-6 metri.
Adesso la sezione è di nuovo ampia. Si potrebbe guadagnare ancora qualche metro in libera, ma non è il caso, a maggior ragione visto che gli altri ancora non si sentono.
Per oggi ho visto a sufficienza, questa è proprio una bella via.
Si sono fatte le 21.30, nella migliore delle ipotesi la seconda squadra dovrebbe già essere arrivata da un bel po’, ma non ho certezze sull’effettivo orario in cui entravano.
Passo un po’ di tempo a togliermi fango di dosso cercando di “migliorare” il mio confort termico, ma il sottotuta è inzuppato ormai da quasi 12 ore e la situazione cambia solo in parte.
Verso le 22 passate comincio seriamente a pensare che gli altri abbiano rinunciato per qualche motivo e prendo in considerazione l’idea di uscire.
Dopo qualche minuto sento una puzza che mi è tristemente familiare: questo è tabacco!
In realtà arriva un odore appena percepibile e mi viene il dubbio che si tratti di suggestione, legata alla mia incredibile ipersensibilità-intolleranza alla puzza di sigarette e affini.
Comunque adesso ho deciso che aspetterò ancora un po’ prima di convincermi ad uscire da solo.
Verso le 23.15 sento finalmente le voci di Fabio ed Elisa: sono quasi 7 ore che vago solitario in questi ambienti, con una tranquillità irreale.
Bene! Adesso ricomincia l’avventura. Partiamo per il fondo di -270 portando ciò che serve per continuare lo scavo.
Elisa è inquieta. Non è mai arrivata così in profondità e questa non è certamente una grotta banale.
Dopo un po’ di lavoro si riesce a passare, guadagniamo 3-4 metri e poi c’è una specie di sprofondamento in una condotta fangosa.
Una cordina è assolutamente doverosa. Se ne occupa Fabio, che però scavalca il saltino e si infila in un cunicolo infame, fino ad un punto impercorribile.
Ci sarebbe da scavare nella melma, ma il morale è sotto gli scarponi (insieme a 5 dita di fango), non ci pensiamo nemmeno.
La stanchezza si fa sentire duramente adesso che si sono spente le illusioni (dove sono finiti gli ambienti preannunciati dall’eco?).
Cominciamo ad uscire mestamente, col nostro fardello di delusioni, materiali e fango spalmato.
Sono sicuro di avere una ventina di chili extra tra sacca ed elementi estranei impregnati addosso, così mi trascino debolmente verso l’esterno.
La lunga risalita da -270 si conclude verso le 9.00 di mattina, alla vista di un sole splendido e apprezzatissimo.
Non vedo l’ora di togliermi il sottotuta inzuppato di dosso, ormai la mia pelle è in salamoia da ben 23 ore e si approssima una mutazione genetica.
Elisa quasi bacia la terra per la commozione di essere arrivata fuori, giurando solennemente che mai più Demetrio la vedrà soffrire così tra le sue braccia.

Questa volta la grotta ci ha proprio sbattuto in faccia una triste realtà:
verso il basso non si passa, o almeno, non da queste parti.
Il livello fatale di q. 900 si è dimostrato ancora una volta inviolabile.
E’ anche vero che ci sono parecchie vie possibili, tra cui alcune allettanti per presenza di aria o per ambienti notevoli, ma speravamo in qualcosa di più e di più immediato.
Già ci vuole una bella determinazione per continuare a faticare in queste grotte così poco generose, se poi l’obiettivo continua ad allontanarsi…
non c’è da stupirsi se si resta così pochi ad essere testardamente legati alle viscere di questa montagna.
Mah, come sempre, però, torneremo a farci sedurre da incredibili correnti d’aria che promettono meraviglie chilometriche (e prima o poi salteranno fuori davvero, è una certezza) e continueremo a sputare sangue da queste parti.
A meno che non si trovi qualche area carsica nuova con esplorazioni meno masochistiche.
Non so cosa sarebbe meglio sperare…
Per ora continua il gioco della Carota (correnti d’aria, potenziale esplorativo, prospettive allettanti, sporadiche soddisfazioni) e del Bastone (fango, acqua, strettoie, freddo, scavi massacranti) che l’Arera sta giocando con noi da anni.
Vedremo chi ha la testa più dura.

Giorgio Pannuzzo
GSB Le Nottole

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