Il dibattito sullo stato del movimento speleologico italiano oggi si può concentrare sui metodi funzionali ed operativi attualmente utilizzati dalle strutture organizzate e dai singoli gruppi di appassionati tra i quali, senza ipocrisie, è sempre più evidente la differenza di impostazione strategica.
C’è chi crede che la speleologia possa restare o diventare un’attività scientifico-sportiva di massa prettamente dilettantistica ed altri i quali ritengono che solo con un’impostazione “professionistica” auto gestita, si possano ottenere risultati esplorativi migliori, in tempi che non si concentrano solo nei fine settimana e utilizzando per quanto possibile le sponsorizzazioni.
E’ lapalissiano che tutti non possono (in certi casi non debbano) intraprendere attività scientifiche od esplorative complesse simili, solo per esempio, a “la Venta”, a Pedrali, a Bollini e il suo fantastico gruppo, perché per superare gli ostacoli operativi delle grandi sfide servono notevoli capacità e competenze fuse con un’adeguata programmazione organizzativa ed economica.
Nella realtà infatti, da quando sono entrate in uso le tecniche di discesa e risalita su corda che hanno permesso di superare in poche persone grandi difficoltà e raggiungere sempre maggiori profondità, sono nati spontaneamente diversi raggruppamenti di speleologi selezionati (provenienti da diverse associazioni) che si sono liberamente organizzati ed auto finanziati per effettuare in totale autonomia complesse esplorazioni.
Certo però è anche che solo un movimento di massa può dare la certezza di alimentare, come penso ogni appassionato desidera, la diffusione della pratica speleologica e il ricambio generazionale necessario; oggi dobbiamo constatare purtroppo che sono pochi i giovani che “vanno in grotta” visto che effettivamente l’età media di chi pratica attività continuativa supera spesso i 40 anni.
Per una cronica mancanza di risorse umane ed economiche infatti i Gruppi Speleologici inseriti in Associazioni regolarmente costituite (C.A.I, società sportive ecc) organizzano con sempre più difficoltà i Corsi di introduzione ed addestramento; l’unica novità positiva sta nel cospicuo numero di donne che, finalmente, hanno scoperto il fascino dei mondi ipogei.
Le Istituzioni pubbliche che solo dopo la tragedia di Vermicino si sono rese conto di quanto possono essere indispensabili gli speleologi soccorritori, facilitano solo in rari casi la nostra pratica e oggi si limitano a sfruttarne le peculiari potenzialità perché nell’ambiente politico e nell’immaginario collettivo, andare sotto terra è ancora una cosa per “pazzi” appassionati e non per gente che si dedica allo studio del territorio e della terra.
Dopo questa banale ma doverosa premessa è indispensabile fare alcune considerazioni.
Parto dall’ovvio presupposto che i due modi di andare in grotta non sono in contrapposizione ma complementari a patto però che non entrino in competizione e che i “professionisti” non condizionino le attività dei “dilettanti”; intendendo per “professionisti” coloro che vanno in grotta solo per il piacere della scoperta o della profondità ma che non hanno intenzione di dedicare tempo alla formazione di neofiti e/o restare condizionati dalle regole, dagli obbiettivi di divulgazione, dai limiti organizzativi ed economici comunque esistenti in Associazioni ufficiali.
Voglio dire che fatta salva la possibilità di una auspicata collaborazione, coloro che hanno l’intenzione di fare speleologia “professionale o professionistica” non dovrebbero, in genere, strumentalizzare le attività all’interno di Gruppi Speleologici formati da “dilettanti”.
Senza una loro scelta chiara e onesta rischiano di essere condizionanti perché portatori di interessi e aspirazioni lontani dalle potenzialità dei più, tanto da risultare forse anche di disturbo alle attività di base che mirano principalmente alla diffusione della pratica e della passione. Si riscontra storicamente che visioni e obbiettivi diametralmente opposti producono in una Associazione facili spaccature operative che possono innescare il crollo di un movimento dilettantistico anche all’interno di un Gruppo Speleologico storico e glorioso.
Da vecchio speleologo so bene che tali discorsi possono suscitare critiche, forse anche ironie, da parte di molti sognatori che negano ancora l’esistenza di una realtà oggettiva che da qualche anno si è instaurata nel nostro ambiente; per me è difficile però non stigmatizzare situazioni dove il senso di appartenenza e gli obbiettivi ideali da condividere vengono a volte messi in secondo piano o peggio cancellati da egoistiche aspirazioni, magari anche di autonomia economica, dei “più forti ed esperti” .
Stimo, seguo ed ammiro i “professionisti” che hanno avuto l’onestà di evitare una deleteria commistione con la speleologia “dilettantistica”, mi auguro solo che rimangano da stimolo per i sogni dei giovani e che, un giorno, molti di loro riprendano a trasferire ai nuovi appassionati la loro esperienza.

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