Pubblico molto volentieri delle considerazioni fatte da Luigi Bavagnoli sull’argomento, sperando di avere riscontri e sviluppare una discussione nei commenti a questo articolo. Ringrazio Luigi per la disponibilità:

Condurre un’indagine sui misteri del sottosuolo non è facile.
Non lo è per una serie di ragioni. Oltre alle ovvie difficoltà psico-fisiche che si incontrano, c’è un aspetto personale che può intaccare, seppur in buona fede, l’approccio empiristico del ricercatore.
Le relazioni che portiamo in superficie sono frutto di osservazioni umane sul campo, spesso ottenute in condizioni di stress e di pericolo.
Così anche i metodi di indagine scelti sul campo, in base agli scenari che si presentano ai nostri occhi, possono essere soggetti ad errori, essendo noi ricercatori esseri umani come gli altri.
Spesso il tempo che ci è concesso di permanere nel sottosuolo non è molto ed occorre raccogliere quante più informazioni possibili nel minor tempo possibile.
L’obiettivo dei nostri studi non è così ambizioso da farci sperare di tornare con delle certezze; ci basta poter diminuire il numero delle incertezze.
Ma anche per ottenere questo più modesto risultato il lavoro condotto deve essere quanto di più analitico e razionale possibile.
Le variabili in gioco restano comunque molte, lo stesso dato osservato da persone diverse può essere descritto in modi differenti, in base al carattere, alla formazione ed all’esperienza di ognuno.
Verranno quindi omessi dei caratteri, dei dettagli e le inferenze prodotte potrebbero differire tra di loro.
Occorrerebbe istituire un comitato di verifica epistemologica che tenga conto di questi fattori, ma purtroppo ciò non è realisticamente possibile.
Dobbiamo dunque “fidarci” delle analisi fatte da altri ricercatori e lavorare sui dati da loro osservati, raccolti e descritti.
Questa necessità di fiducia smonta l’approccio empiristico, con buona pace di Aristotele, Hume, Locke, etc…

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