di Euro Puletti

L’ormai pressoché desueto sostantivo maschile, d’area spoletina, chiòcchio, ‘ano’, deriva, probabilmente, da un latino *cloaculus, forma maschile di cloacula, a sua volta risalente a cloaca ‘piccola fogna, ventre’, secondo le trasformazioni fonetiche qui di séguito elencate:
cloaculu(m) > *chioaculu(m) > *chioaclu(m) > *chiochio > chiòcchio.
Tale dialettalismo lessicale ha dato origine ad uno speleònimo tradizionale, vale a dire all’antico nome di una grotta del territorio di Spoleto, la quale grotta è, per profondità, la seconda cavità naturale umbra dopo quella di Monte Cucco. Vi è ora da chiedersi perché un simile nome, che sa di dispregiativo, sia stato attribuito ad un abisso tanto profondo quanto bello ed affascinante. La spiegazione è semplice. La denominazione non dev’essere intesa nella sua più stretta e riduttiva accezione, bensì in maniera metaforica. La forma della cavità, specie in certi tratti iniziali stretti e tortuosi, dovrebbe aver richiamato alla mente, per accostamento concettuale analogico, quella d’un ‘orifizio anale’, d’una ‘piccola cloaca’, appunto. Siccome, poi, la cloaca presso i Romani era anche una fogna destinata allo scolo delle acque di scarico e rifiuto, così dev’essere apparso l’inghiottitoio del Chiòcchio ai suoi primi osservatori ed esploratori, specie quando le improvvise piene del Fosso dell’Andreóne convogliavano al suo interno ingenti e dirompenti quantità d’acqua, che smantellavano, in un batter d’occhio, i manufatti umani ivi pazientemente costruiti da pastori e boscaioli locali. A questo proposito, appare assai significativo il fatto che talune grotte italiane assumono il nome tradizionale di chiavica e clatra. Quanto, poi, alla spiegazione del significato di ‘ventre’, di cui pure è portatrice la parola latina cloaca, “applicata” alle grotte, basti ricordare come, presso molte culture umane, le grotte siano rassomigliate al fecondo ventre di una donna, o considerate quali il seno stesso della terra, o, meglio ancora, come “le viscere della terra”.
Tale speleonimo va confrontato con un toponimo spoletino: La Rotta de Chiòcchiu (o de Chjòcchju), indicante un tortuoso percorso viario, aperto, a fatica, in mezzo alla vegetazione, e avvitàntesi a spirale su per un’erta altura. Ricorre, anche in questo caso, il concetto di luogo stretto, tortuoso, malagevole come un “buco”, un “bucaccio”, per superare il quale occorre fare una gran fatica, o, detto in maniera smaccatamente triviale: un grande buco di culo.
Ringrazio sentitamente Francesco Salvatori e Vittorio Carini, pionieri della speleologia umbra, per le notizie gentilmente fornitemi circa l’esplorazione della Grotta del Chiòcchio e l’originario significato dialettale di tale speleònimo.

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