“Eccellentissima e potentissima principessa e mia reverendissima signora, mi raccomando alle più alte grazie vostre e del mio reverendissimo signore, dal momento che ciò che so e posso è tanto umile cosa.

E poiché ogni promessa si deve lealmente mante­nere, vi invio, mia reverendissima signora, in iscrit­to e figura i monti del lago di Pilato e della Sibilla, che sono altrimenti da quelli rappresentati sui vo­stri arazzi, e anche tutto quello che io ho potuto vedere e conoscere dalle genti del paese, il giorno 18 maggio 1420, in cui io fui là, e questo per mantenere la mia promessa, e perché non possa essere rim­proverato di inadempienza e non si possa dubitare della mia fede se mai sarò in vostra presenza.”
Antoine de la Salle – Inizio de Il Paradiso della Regina Sibilla

La montagna della Sibilla e la montagna del Lago di Pilato
La montagna della Sibilla e la montagna del Lago di Pilato

16 Novembre 2018
La nebbia è fitta e persistente e il vento non ne cambia la consistenza mentre saliamo lungo i prati orientali che conducono alla cresta del Monte Sibilla, mentre un freddo intenso congela ciuffi di falasco, cardi e steli secchi, armandoli di lunghe lame di ghiaccio.
Siamo partiti da Terni alle 5 di mattina per arrivare ad un’ora decente all’appuntamento con la Grotta della Sibilla, costretti ad un ampio giro in macchina per raggiungere il versante marchigiano delle zone martoriate dal terremoto del 2016.
Siamo due vecchi amici appassionati di montagna e Mauro non è mai stato sul Monte Sibilla, perchè quella montagna così evidente, così distinguibile per quella sua ferita a forma di Zeta di una strada scellerata che la risale, è sempre lontana dai nostri passi.

La Regina Sibilla custodisce gelosamente i suoi segreti nel suo Paradiso Perduto e come dei moderni Antoine de la Salle ci avviciniamo a lei con sguardo indagatore, perchè qualcuno sta cercando da anni di trovare l’ingresso del suo Mondo Sotterraneo e finalmente il momento topico è giunto: Il Comune di Montemonaco sta conducendo una campagna di ricerca e di messa in sicurezza della Grotta della Sibilla.

Viandanti, cavalieri, maghi, streghe, studiosi, religiosi, alchimisti ci hanno preceduto, da almeno 700 anni, in questo viaggio alla ricerca del Mito, per portare la luce in una vicenda oscura, per raccontare la verità di un luogo e delle sue leggende.

Il carro funebre di Pilato, trainato da una coppia di buoi inabissato nelle gelide acque del Lago sul Monte Vettore non lo abbiamo trovato; negli ultimi anni le acque in estate si sono completamente prosciugate rivelando un fondo fatto di ghiaione, ma la Grotta della Sibilla, quella si che esiste. Bisogna solo riuscire ad entrarvi.

Esiste un rilievo fatto dagli speleologi prima degli anni sessanta, di una piccola caverna che da accesso con dei gradini ad uno stretto passaggio oltre il quale…
Sul rilievo c’è un tratteggio e un punto interrogativo e oltre il punto interrogativo comincia la leggenda, fatta delle cronache di antichi viaggiatori: dal Guerrin Meschino alla ricerca delle sue origini, a due frati tedeschi, che superate due statue di avorio di due dragoni, sorpassarono un ponte nel vuoto da cui salivano fragorosi rombi di acque impetuose mentre un vento gelido sferzava le loro fiaccole, fino a giungere alle porte di ferro che sbattono, che custodiscono un Paradiso Diabolico di perdizione e lussuria, dove incauti giovani vengono trascinati da fate bellissime, perdendosi nell’oblio.

Gli speleologi e la Scienza antica e moderna si fermano alla prima stanza, dove dei gradini conducevano al primo stretto passaggio.

Ci troviamo a circa 2150 metri di altitudine a settanta metri dalla vetta; qui qualcuno fece saltare con dell’esplosivo la volta della grotta. Chi dice che furono speleologi maldestri, chi dice che fu la comunità cattolica dei paesi vicini preoccupata del traffico di negromanti e fattucchiere che alimentavano luciferine energie pronte a scatenarsi sulle popolazioni vicine. Fatto sta che della mitica grotta non rimane altro che una larga fossa ingombra di una frana di massi e detriti.

Dopo anni di domande in carta bollata, gli speleologi marchigiani la settimana scorsa sono riusciti a dare il via alle ricerche e alle opere di consolidamento e messa in sicurezza della Grotta della Sibilla. E’ Roberto Cingolani del GSM Ancona che al telefono mi da la grande notizia, e si comincia da subito con le prospezioni e le trivellazioni per verificare la presenza di vuoti nei dintorni della grotta.
Notizia pubblicata su Scintilena, come da copione, ma il Mito chiama. Non posso rimanere qui, solo a qualche ora di cammino dall’Antro della Sibilla, mentre i Cavalieri Cercatori profanano il Paradiso Perduto e si mettono in coda dietro ai loro predecessori, dove in quella coda ci sono anch’io affacciatomi tanti anni fa tra i massi accatastati a cercare tracce del passaggio segreto, alla ricerca di iscrizioni sulle pietre sferzate dagli elementi, dove solo rimane una data: “1587”.

Mito nel Mito: il titolare della ditta che eseguirà i lavori è il fratello di Astigo, uno dei più forti speleologi del mondo. Partecipa al progetto anche Tullio Bernabei che realizzerà un docufilm sulle ricerche effettuate.

Le contingenze di interessi, leggende, fantasie personali, curiosità, Mauro che non è mai stato sulla Sibilla e i giorni di cassa integrazione che mamma TIM mi dispensa si condensano in una data ed un luogo, appuntamento alle 5 davanti al Comune di Terni e si va sulla Sibilla.

Gli eventi sismici di due anni fa hanno arrecato danni notevoli anche alla rete stradale dell’Appennino centrale, così che tra deviazioni, cantieri, frane, disgaggi e semafori siamo costretti a passare molto a Nord, circumnavigando tutta la catena dei Sibillini. Attraversiamo paesi distrutti, case sventrate, borghi abbandonati e spogliati della loro identità, incrociamo fantasmi che si aggirano tra i campi casette SAER tutte uguali, facciamo colazione al bar della piazza, dove la vita deve ricominciare a marciare. Il terremoto è lontano ormai nel tempo, ma ci ha lasciato una pesantissima eredità, fatta di sacrificio, come se già non bastasse il sacrificio di amare queste terre montane.
Finalmente scendiamo verso sud e i luoghi diventano improvvisamente familiari: la Madonna dell’Ambro, la Priora, Montefortino, Montemonaco, l’Infernaccio, e poi la Sibilla. La strada sterrata che sale al rifugio chiuso di quota 1540 serpeggia nella nebbia sempre più fitta, scendiamo dalla macchina accolti da un insolito freddo.

La Sibilla mi sta respingendo ancora una volta. L’ha fatto sempre. Mi ha tirato fulmini scatenando temporali sul sentiero che attraverso la cresta della Cima di vallelunga unisce il Monte Porche alla Sibilla per chi proviene da Castelluccio. Mi ha sempre minacciato con nubi nere chiamandole a se dal fondo dell’Adriatico. Ha squarciato la cresta con il terremoto, causato frane, distrutto ponti.

Eppure sono qui, sto risalendo a memoria il prato dietro al rifugio che ci conduce rapidamente in cresta, dove entriamo in un mondo fatato e surreale, potremmo essere in qualsiasi parte del mondo, conosciuto o inesplorato, inghiottiti dalla nebbia potremmo trovarci improvvisamente in un altro luogo, come attraversando un tunnel spaziotemporale.
L’erba è completamente ghiacciata, il freddo intenso ci buca le giacche, i guanti non riescono a scaldarmi le mani. Nel silenzio di una densa nebbia avvertiamo un battito d’ali d’uccello che non riusciamo a vedere. La Regina sta mandando le sue spie.
Avvicinandoci alla grotta, da lontano avvertiamo un rumore molto strano, rumore meccanico, misto a motore, sul quale si modula il suono di un vento poderoso. Mentre cammino non posso smettere di osservare le bianche fontane di ghiaccio che costellano i prati, solo effimere strutture di nebbia congelata che avvolgono caparbi ciuffi d’erba, ma lo spettacolo è tutto per noi, attenti osservatori e insoliti ospiti di una montagna sacra.

Giungiamo alla Corona della Sibilla, uno scalino geologico alto tre o quattro metri che cinge la “testa” della montagna. Le pietre su cui camminiamo sono completamente ghiacciate e vetrificate, dobbiamo calpestare i pochi ciuffi d’erba per non scivolare.

Il rumore degli operai diventa ormai netto quando finalmente dalla nebbia spuntano delle figure che si ostinano a rimanere in piedi in questo gelo totale.
Mi avvicino e trovo gli occhi amici di Tullio Bernabei che per un attimo fatica a convincersi che quello sono io. Lo ribadisce anche un altro completamente coperto da una maschera da sci: “Ma chi è, Scatolini?”
Senza ulteriori parole tiro fuori quello che rimaneva di una bottiglia di mirto e la offro ai presenti, che per scaldarsi un pò non rifiutano assolutamente.
Bernabei padre e figlio sembrano vittime di un incantesimo della Regina Sibilla, con i capelli concrezionati di ghiaccio ci illustrano gli ultimi lavori, i sondaggi che dovevano essere più promettenti hanno rivelato dei vuoti senza alcuna speranza di accesso. La sonda è stata fatta scendere per quattro metri, infilata come un ago sottopelle nella crosta rocciosa del Paradiso della Sibilla.

La Sibilla ci respinge.

Il gruppo elettrogeno e il compressore per lo spingitubo sono a qualche chilometro di distanza, il tubo pneumatico presenta diversi buchi e la potenza necessaria ha già imposto la sostituzione del primo gruppo elettrogeno per uno più performante.
Il freddo fa spegnere tutto quello che è elettronico: computer, cellulari, tutto è morto, come se fossimo prossimi allo zero assoluto e la materia assumesse stato e forme insolite. Solo la macchina fotografica Sony resiste all’oblio e manovrata da Mattia bernabei testimonierà di un’altra Impresa di altri viaggiatori alla ricerca di Sotterranei Paradisi Perduti.

E’ talmente freddo che per mangiare un leggero spuntino ci infiliamo dentro la frana in una angusta stanzetta che si è formata tra i massi caduti. Profano così anche io, masticando avidamente pane e speck, quella che doveva essere la camera di ingresso della grotta.

Nonostante la temperatura sicuramente più mite del sottosuolo, ho i piedi e le mani congelati e continuo a sfregarmi continamente le mani sulle cosce, ho perso la sensibilità delle chiappe, mi fanno male un gomito e le spalle e la guancia esposta al vento mi duole come se avessi un dente malato. Io e Mauro “al caldo” nella cavità ci chiediamo come facciano a passare li tutta la giornata, per tutta la settimana, quelli la fuori. In uno scambio di battute glielo chiedo e Tullio accenna a “quella volta in Groenlandia…” e vabbè, dimenticavo che avevo a che fare con il Mito.

“Stiamo facendo l’ultimo buco, vediamo come va, ma quello più promettente è questo e purtroppo non ha dato i risultati sperati” dice ancora Tullio, salutandoci. Noi torniamo in basso, nel nostro mondo, mentre finalmente il panorama si apre verso la vallata di Foce e raggi di sole fanno veloci passate tra prati verdi e rossi.

Torneremo ancora. Torneremo ad ascoltare quel lieve soffio di vento ipogeo che ci arriva tra i massi di frana. A sperare, a credere che il Paradiso della Sibilla possa esistere. Andiamo avanti, la ricerca continua.

Andrea Scatolini

Il romanzo “Il Paradiso della Regina Sibilla” è disponibile on line, scaricabile in formato PDF con licenza Creative Commons, a questo link:

http://www.sibylla.it/biblioteca-virtuale/110-il-paradiso-della-regina-sibilla.html

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