di Raffaele Onorato
“Infandum regina iubes renovare dolorem” … mormorò il povero Enea quando la regina Didone gli chiese di raccontare la caduta di Troia. E’ un po’ lo stesso tipo di dolore che prova un vecchio speleosub, come me, che tante storie tragiche ha visto e sentito nella sua lunga carriera nel Soccorso, quando gli si pone la fatidica domanda: “Ma come mai muoiono tanti sub in grotta?”.
Più di vent’anni fa (non fatemi fare i conti esatti…), quando fondammo la Commissione Speleosub del CNSAS, a Verona, il primo obiettivo che ci ponemmo fu quello di stilare e studiare una casistica degli incidenti, quasi tutti mortali, in grotte sommerse. La domanda che ci assillava era proprio quella: “Perché muore tanta gente in sifone?”.
Alla fine dello studio, durato qualche anno, uscì un quadro drammaticamente chiaro e fu scritto il celeberrimo decalogo delle Regole di Sicurezza in Immersione Speleo Subacquea, che (allora ancora non lo sapevamo), come alcuni testi sacri, ha il potere di non invecchiare: resta sempre vero ed attuale… per chi ci crede.
Il “Decalogo” aveva, inoltre, il discusso potere di contraddire o addirittura annullare le più elementari ed assodate regole di sicurezza per le immersioni in acque libere! Prima fra tutte: “Non bisogna mai immergersi da soli”!
Lo studio della casistica degli incidenti in cavità sommerse parla chiaro: il o i compagni di immersione in grotta, hanno più probabilità di rimanere coinvolti (leggi “morire”) nell’incidente, che di riuscire a salvare lo speleosub in difficoltà. Ed è presto spiegato il perché: per emergere da una grotta non è sufficiente gonfiare un G.A.V. e guadagnare la superficie, magari anche rischiando un’embolia, che è sempre meglio della morte certa sul fondo. Per uscire da una grotta sommersa, bisogna ripercorrere tutto il tragitto fatto all’andata, incontrando, molto probabilmente, acque di gran lunga più torbide di quelle che ci hanno accolto quando siamo entrati ed incontrando, certamente, la scarsa collaborazione dello speleosub che cerchiamo di trascinare fuori!
Non ci sembra il caso, per tanti ed ovvi motivi, di entrare nello specifico di alcuni tragici episodi di sub morti in grotta ma ci limiteremo a fare alcune riflessioni sull’attività speleosubacquea in generale.
Prima, però, dobbiamo pigiare un tasto dolente: esiste una qualifica professionale di “Accompagnatore Speleosubacqueo”? Non mi risulta proprio. Anzi, dirò, senza paura di essere smentito, che in materia di “Titoli Subacquei”, professionali e non, la Legge italiana è gravemente carente ed eccezionalmente… elastica. Non esiste, a livello nazionale, un Ordine o un Albo Professionale degli Istruttori e Accompagnatori Subacquei. Alcune Regioni o, in mancanza, ogni Capitaneria di Porto ha un suo elenco di Istruttori e/o Diving Certificati. Certificati da chi? Dalle varie Didattiche Subacquee più o meno commerciali, ovviamente. Esistono, sicuramente, delle figure di Accompagnatore e/o Istruttore Subacqueo che svolgono il loro lavoro con grande serietà e professionalità ma bisogna sottolineare che sulla stragrande maggioranza dei loro brevetti c’è scritto “Open Water”. Un motivo ci sarà!
Nel campo della Speleologia Subacquea, poi, c’è il caos più totale, anche in materia di Soccorso. Corpi dello Stato, come i Vigili del Fuoco, hanno i loro Speleosub, certificati da Istruttori che, a loro volta, non si capisce bene da quale Ente “accreditato” siano stati certificati! In questa difficile e mal regolamentata materia, la Legge, ed i suoi Amministratori, in caso di incidenti diventano improvvisamente rigidi ed agiscono tout court, chiudendo le grotte, ritenute pericolose, a tutti, senza distinzioni. Sarà anche Legge ma non mi sembra Giustizia.
La Legge non regolamenta le attività speleosubacquee ma capisce “a pelle” la pericolosità della disciplina, come la comprendono le Compagnie di Assicurazioni, la quasi totalità delle quali, ormai, ha depennato qualsiasi forma assicurativa per speleosub. Alcune mettono addirittura l’attività speleosubacquea fra le controindicazioni per le assicurazione sulla vita!
Al contrario, la pericolosità delle cavità sommerse, soprattutto di quelle sottomarine, sembra sfuggire ai sub… normali (e cioè ai non speleosub), che affrontano questi difficili ambienti, il più delle volte, con attrezzature e preparazioni tecniche assolutamente inadeguate. Apparirà chiaro, a questo punto, che la mia quarantennale esperienza di sub e speleosub mi porta a tracciare una netta linea di separazione e distinzione tra sommozzatori di acque libere e speleosubacquei.
Nessuno speleosub, che sia degno di chiamarsi tale, fa distinzione fra grotte marine o d’acqua dolce, fra grotte facili o grotte difficili. Le grotte sommerse sono solo grotte sommerse e vanno tutte affrontate con lo stesso impegno. Nessuno speleosub percorre neanche un solo metro in grotta senza una sagola. Nessuno speleosub si azzarderebbe mai ad entrare in grotta con un monobombola. Nessuno speleosub (e ormai anche pochi sub) farebbero un’immersione oltre i -45 metri respirando aria compressa. Nessuno speleosub si sognerebbe mai di fare “le gite in grotta”. Le cavità sommerse che consentono le “visite di gruppo” sono veramente poche, come sono pochi quelli che hanno le oggettive capacità di fare “l’accompagnatore in grotta”.
Dobbiamo anche dire, per completezza, che alcune didattiche subacquee ora hanno inserito nelle loro offerte commerciali anche Corsi e Brevetti “Cave” ed addirittura “Full Cave, per non aver nessun limite in grotta” (cito testualmente dalla presentazione PowerPoint di una di queste Didattiche). Non facciamo commenti perché siamo ignoranti. Nel senso che sono a noi sconosciuti i programmi di tali Scuole e, ancor di più, i curricula speleo degli Istruttori. Io, come la maggior parte dei miei coetanei, mi sono formato alla Scuola della Società Speleologica Italiana.
Infine, giusto per inimicarmi anche quei pochi che fin qui mi hanno dando ragione, parlerò di quegli speleosub che, presi dal sacro fuoco dell’esplorazione, fanno cose che non andrebbero fatte. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Anche qui, il problema non è il “peccato”, finché lo si riconosce come tale. Il problema è scambiare il “peccato” per grande coraggio e capacità tecnica superiore, e magari costruirci sopra il mito del supereroe. Tutto ciò lancia un pericoloso messaggio ai neofiti. A tal proposito mi piace raccontare l’esperienza di un mio prozio, Leopoldo, che aveva il vizietto di giocare alla roulette russa. Zio Leopoldo morì a 78 anni di difterite, ma non per questo possiamo affermare che la roulette russa sia un gioco innocuo.
Lo speleosub più bravo è quello che riesce a percorrere tanti chilometri sott’acqua e sottoterra, riuscendo a diventare vecchio. E questo tipo di “brevetto” lo conferiscono solo l’esperienza, il tempo e la saggezza.
Chiudo queste elucubrazioni mentali citando un grande dell’alpinismo, Reinhold Messner: ”Quando si è a pochi metri dalla vetta, ci vuole più coraggio per rinunciare che per tentare”.

Raffaele Onorato

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