Cronaca della fotografia alla Caverna Lindner.

Dopo una serie infinita di scalette metalliche che corrono lungo una sequenza di pozzi dalle sezioni ridotte, la più grande emozione che provano i visitatori dell’Abisso di Trebiciano è quella di ritrovarsi a camminare su un soffice pavimento di sabbia con il nero assoluto ovunque si rivolga lo sguardo.  E’ la grande Caverna Lindner, dalle dimensioni approssimative di 100m larghezza, 80m altezza, 160m lunghezza, tagliata lungo la sua larghezza dall’alveo del mitico fiume Timavo.

La fisionomia di tale caverna ci veniva data da stampe di metà ‘800 o parzialmente da foto storiche fatte con illuminazione al magnesio. Mancava qualcosa di recente e fatto con tecniche moderne e per questo ci siamo proposti di colmare questa lacuna.

I compagni muniti di faretti iniziano la discesa fino al fondo mentre io resto alto perchè devo trovare la posizione ideale che mi consenta d’inquadrare la più ampia porzione di caverna. Necessariamente mi posiziono al termine del tratto sabbioso iniziale, proprio sopra dei macigni che sovrastano la ripida discesa verso il fiume.

Nel nero più assoluto, il problema principale è stabilire l’inquadratura e mettere a fuoco; neanche il faro di profondità mi aiuta e quindi devo fare 2-3 scatti di prova a tempi lunghi ed orientarmi su quello che vedo nella macchina fotografica. LA messa a fuoco è un terno al lotto: mi baso solo sull’indicatore dell’obiettivo.

Con le radio, comando i compagni sotto che si posizionano con le luci. Iniziamo dalla caverna in cui si trova il lago Timeus (che risulterà una piccola apertura nel contesto di tanta grandiosità). E’ impossibile riuscire a fotografare in una volta sola ambienti così grandi e quindi bisogna per forza procedere a rate illuminando in sequenza singole porzioni di grotta. Due illuminatori seguono il fondo della caverna spostandosi verso il sifone d’uscita mentre altri due risalgono il sentiero per illuminare tutta la parte sinistra. Li faccio fermare tre volte in punti differenti a pennellare la luce per 30 secondi con gli ISO a 400 (la mia Canon EOS 40D non mi consente di andare oltre perchè poi grana troppo). Gli omini sono talmente piccoli che l’inevitabile mosso del loro corpo, durante un’esposizione così lunga, risulta impercettibile. Dalla postazione di scatto, un faro di profondità si concentra ad illuminare tutta la parte più alta, dove non arrivano le luci da sotto.

Grande pazienza e professionalità dei miei collaboratori; spesso e volentieri gli comunicavo di salire sopra quelle che a me sembravano roccette, ma che in realtà erano enormi macigni alti svariati metri. Oppure chiedevo di arretrare o spostarsi di qualche metro senza rendermi conto dei piccoli baratri che avevano lì attorno. E poi non avevano la minima idea delle mie intenzioni, ne la visone completa di quello che stavano facendo; dovevano fidarsi, eseguire e basta. Bravissimi! (Ma che fortuna ho avuto a trovare gente così? Grazie!)

Solo a casa mi sono reso bene conto di quello che avevamo realizzato. Il piccolo display della macchina fotografica non ti consente di capire bene la qualità; però ho capito da subito che i nuovi potenti faretti di-cui-non-posso-fare-il-nome avevano fatto un egregio lavoro.

Dopo l’assemblaggio degli scatti mi sorprendo anch’io: che spettacolo! Adesso finalmente sappiamo cosa c’è dietro quel nero che tanto ci affascina.

Sandro Sedran – S-Team

Racconto dell’uscita e tutte le altre foto le trovi qui:
http://sandroesimona.blogspot.com/2012/03/abisso-di-trebiciano.html

 

 

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