Un gruppo di studenti dell’Università di Adelaide ha realizzato un ragno robot per completare la scansione 3D della Naracoorte Cave, grotta protetta come World Heritage Site. CaveX permette di accedere a luoghi delicati con un basso impatto. Analizziamo la fattibilità di questo robot e l’esplorazione di grotte con droni

CaveX ragno robot
Il ragno robot esploratore CaveX

La costruzione di un ragno robot per l’esplorazione di una grotta australiana da parte di un gruppo di studenti di Adelaide, sta suscitando fin troppo interesse e curiosità e rimbalza dalle riviste specializzate, ai giornali on line e infine sui social.
Anche noi siamo andati a vedere di cosa si tratta.

Un gruppo di studenti dell’Università di Adelaide ha costruito un robot a forma di ragno, chiamato CaveX, che spostandosi sulle sue otto zampe non fa disastri nei sedimenti particolarmente importanti della grotta di Naracoorte, e portandosi dietro uno scanner laser è in grado di rilevare e topografare ambienti delicati, difficili da raggiungere senza devastare la grotta. Questo è il succo della notizia.
Il ragno robot si muove meglio di un rover cingolato, ma questo australiano non era dotato neanche di una telecamera, non sa scendere un pozzo e non sa fare una risalita, neanche su corda.

CaveX, il nome del ragno robot, per ironia della sorte è lo stesso nome del Team russo che esplorò la prima grotta al Mondo che superò i 2000 metri di profondità, ossia la krubera.

Natalino Russo, esploratore, viaggiatore, scrittore, speleologo, nel 2018 scriveva:
Che fine ha fatto l’esplorazione? I satelliti hanno fotografato l’intera superficie terrestre e Google Earth la rende consultabile – letteralmente – nel palmo di una mano. Ha ancora senso partire con bussola e taccuino per scoprire luoghi nuovi? La risposta è sì: i posti inesplorati del pianeta sono tutt’altro che finiti. Non si tratta di mete note e tuttavia mai calpestate. Sono territori ignoti, assenti dalle carte geografiche, spazi nuovi che rimangono sconosciuti fino al momento in cui uno speleologo ci mette piede per la prima volta: le grotte.

L’idea di demandare l’esplorazione e il gusto della scoperta a droni, robot e macchine non piace all’uomo. Diciamo la verità.
L’idea non piace neanche agli speleologi, timorosi di doversi confrontare un giorno con un replicante che gli potrebbe dire: “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare” come disse Roy Batty in Blade Runner.

I rover che macinano chilometri su Marte hanno inviato immagini strabilianti del Pianeta Rosso, hanno mappato e topografato vasti territori desertici, analizzato rocce e sedimenti, eseguito esami chimici e fisici, e secondo l’immaginario collettivo, non fanno altro che preparare la strada per il vero sbarco su Marte, quello tanto atteso che prima o poi farà un appartenente alla razza umana.

Con tutta probabilità, per preparare l’arrivo di un umano su Marte, saranno impiegati droni, macchine operatrici e robot che dovranno installare dei moduli abitativi necessari per una permanenza abbastanza lunga di un certo numero di persone.
La superficie di Marte non offre condizioni particolarmente favorevoli alla permanenza umana, con escursioni termiche di un centinaio di gradi tra notte e giorno, e con tempeste di sabbia che possono durare settimane e mesi.
Fortunatamente, sul pianeta Rosso sono state osservate numerose aperture sulla superficie, piccoli e grandi crateri che costituiscono l’accesso a lavatubes, cioè grotte vulcaniche, che potrebbero ospitare in sicurezza i moduli abitativi dei primi coloni, e addirittura al proprio interno potrebbe trovarsi anche ghiaccio di acqua, che male non fa.

L’ipotesi di dover andare sottoterra, o sottomarte, nel corso degli anni ha spostato l’attenzione dei ricercatori aerospaziali nelle grotte.
Non è un caso che l’ESA, Agenzia Spaziale Europea, ha un settore che si chiava ESA CAVES e porta in giro gli astronauti a fare speleologia.
Non è un caso neanche che si sta lavorando alla realizzazione di robot in grado di muoversi autonomamente in grotta.
E’ sempre l’ESA che, nel 2019, ha indetto un bando per idee su come realizzare robot e droni per muoversi in grotta.

Secondo Loredana Bessone, coordinatore del progetto ESA CAVES, l’esplorazione delle grotte marziane sarà frutto della combinazione del lavoro di più droni, robot e rover con capacità specifiche per ogni adattamento.

Questo ragno australiano realizzato dagli studenti dell’università di Adelaide, tra tutti i droni, rover e altri aggeggi, sembra il meno dotato.
Andò molto meglio al rover che esplorò un lavatubes in islanda nel 2019, frutto della collaborazione tra il SETI Institute e la startup Astrobotic Technology, dimostrando che è possibile esplorare in autonomia le grotte sulla Luna o su Marte. Equipaggiato con LiDAR ha scansito l’ambiente e si è mosso al suo interno in totale autonomia.

I Rover marziani però non sanno fare neanche una buca. Stanno cercando di analizzare il sottosuolo, ma tutto quello che siamo riusciti a fare con i primissimi rover è stato di far sgommare le ruote e vedere mezzo centimetro sotto la polvere. Troppo poco.
Nel 2019 ci ha provato la “Talpa” americana InSight, che avrebbe dovuto scavare fino a 3 metri di profondità, ma ha fatto un buco di 35 centimetri e li si è fermata.
Il Rover Perseverance nell’anno 2021 ha fatto un buco, ma non è riuscito a caricare il materiale trapanato.
Nel 2022 il rover italiano Exomars dovrebbe partire per Marte e iniziare a scavare fino a due metri di profondità verso Giugno 2023, con un progetto dell’Agenzia Spaziale Europea in cooperazione con l’Agenzia Russa. Costa un miliardo di Euro, è grosso, enorme, non potrà calarsi dentro un pozzo.

Se spostarsi con ruote, cingoli o con le zampe di un ragno non rappresenta più un problema, le cose si complicano quando c’è da superare ostacoli di qualche metro di dislivello, eppure per complicato che sia, c’è un drone dell’Agenzia Spaziale Europea che ha fatto un voletto in grotta.
Si chiama Fliability, e nel 2017 ha volato e mappato una zona molto calda delle stufe di San Calogero, in Sicilia.
Nel 2018, il drone Hovermap sviluppato da Emesent, una startup statunitense, ha mappato una miniera in totale autonomia, come al cinema nel film Prometeo.

L’Università di Würzburg ha indagato la possibilità di calare la sua sonda Daedalus con un cavo, Moonlight dell’ESA mira a fornire capacità di navigazione e telecomunicazioni durante le esplorazioni.

Per andare sott’acqua, in grotta, abbiamo il R.O.V. utilizzato all’interno della “Grave di Grubbo”, ma è filoguidato, e quando finisce il filo si deve fermare.
Anche i Vigili del Fuoco hanno dei sottomarini che raggiungono profondità notevoli: Quelli italiani nel marzo del 2002, mandarono il ROV “PROMETEO”, fino a 392 metri di profondità nel Pozzo del Merro.

La NASA nel 2019 ha presentato IceWorm, il drone scalatore su ghiaccio, sviluppato per le grotte vulcaniche del Monte Erebus.

Tutte queste applicazioni sono enormemente costose e sono giustificate solo dal fatto che l’esplorazione dello Spazio dovrà essere portata avanti dalle macchine e non dall’uomo, perchè i rischi sono altissimi.

Per le grotte terrestri, l’impiego di droni e robot può essere giustificato in caso di esplorazione di ambienti estremamente delicati come questa grotta australiana, o pericolosi, come grotte con gas tossici, miniere di carbone, solfatare, grotte vulcaniche con esalazioni mortali, grotte con presenza di CO2.
Sono già impiegati dei piccoli rover autocostruiti per l’esplorazioni di cavità artificiali, dove il terreno non presenta particolari dislivelli e asperità. In caso di aperture troppo strette, una macchinina giocattolo a batteria telecomandata dotata di una webcam e un faretto può essere molto utile.

Gli speleologi possono dormire sonni tranquilli ancora per molti anni, anzi per farli sognare consigliamo la lettura di questo articolo di Natalino Russo:
Gli ultimi esploratori – Il viaggio della speleologia nelle regioni ancora sconosciute del mondo sotterraneo.

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