Prosegue il dibattito intorno al futuro della cava di Monte Tondo: Una cava di gesso in un Parco che da lavoro a decine di persone, un Parco che aspira a diventare patrimonio Unesco, politici della Regione contro politici locali per dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ognuno barricato sulle proprie posizioni.

La Federazione Speleologica Regionale Emilia Romagna, da sempre in prima linea contro le estrazioni del gesso, torna nell’arena per mettere i puntini sulle i, mentre per lo speleologo Andrea Benassi Consigliere Comunale di Casola sarebbe ora di sedersi intorno ad un tavolo e trovare un punto di accordo.

«Non condividiamo assolutamente il concetto che si debba giustificare il prosieguo dell’attività estrattiva motivandola come recupero ambientale – afferma il presidente della Federazione Speleologica dell’Emilia Romagna Massimo Ercolani – “Dal nostro punto di vista di speleologi vorrebbe significare che proseguire nella distruzione del sistema carsico del Re Tiberio rientrerebbe nelle operazioni di recupero”.

“Serve un tavolo reale, di confronto” Risponde Andrea Benassi, speleologo e Consigliere Comunale di Casola “Un momento di riflessione costruttiva in cui dalle istituzioni, di ogni livello, dalla Regione ai Comuni, passando per la proprietà e quindi l’azienda e, ovviamente, le diverse anime ambientaliste e speleologiche, per non parlare del Parco ed eventualmente dell’Università per determinare gli step necessari affinchè a una progressiva dismissione dell’attività di cava si affianchi una seria, costruttiva, socio-economicamente solida alternativa. Non basta lanciare slogan di tutela, servono risposte per una riconversione che sia al contempo sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico-imprenditoriale”

Lo scontro tra le associazioni ambientaliste, la proprietà della cava, le parti politiche e i lavoratori della cava che vedono il proprio posto di lavoro a rischio, va avanti da diverso tempo in un “tutti contro tutti”.
In questa fase ognuno cerca di consolidare le proprie ragioni, portando dalla propria parte più attori possibili.

Secondo l’assessora regionale all’ambiente Irene Priolo, “interrompere oggi la coltivazione vorrebbe dire abbandonare la cava e non recuperala”.

Secondo la Federazione Speleologica Regionale, continuare a lavorare vorrebbe significare che proseguire nella distruzione del sistema carsico del Re Tiberio rientrerebbe nelle operazioni di recupero.

Spunta un piano “B” accettabile per gli speleologi della Federazione, che è quello di “considerare il nuovo periodo di attività come l’ultimo possibile e concedibile, inserendo opportune clausole di salvaguardia negli atti autorizzativi corrispondenti” e propone di “utilizzare il decennio di ulteriore attività mineraria per attuare adatte politiche di uscita dal lavoro degli addetti oggi impiegati, in modo da minimizzare il problema al momento della cessazione delle attività”.
A tal proposito l’Assessora ribadisce che lo scenario B “si colloca nell’ambito delle previsioni del PIAE attualmente vigente e rispetta i quantitativi previsti dallo studio arpa 2001, con la previsione di 10/15 di ulteriore attività di coltivazione”.
Contrario il Consiglio Comunale di Casola e Andrea Benassi al Piano B così come concepito: “Lo abbiamo messo nero su bianco con un documento approvato all’unanimità dal consiglio comunale di Casola. Non basta e non serve dare un orizzonte temporale senza avere basi scientifiche, numeriche, concrete. Ne va della sopravvivenza di una comunità”

Gli speleologi della Federazione si appellano alla legge regionale 10 del 2005 (Istituzione del Parco Regionale della Vena del Gesso Romagnola) che all’art. 6, comma 7, vieta espressamente: – la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo; – la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei; questo divieto è previsto anche nelle aree contigue del Parco salvo diverse indicazioni del Piano Territoriale del Parco stesso. Piano che, dopo 16 anni dalla istituzione del Parco, ancora non è stato approvato e sarebbe inaccettabile che oggi venisse finalmente approvato al solo scopo di consentire la distruzione della Vena del Gesso.

Lo speleologo Benassi osserva: “chi dice che l’attività, per come viene e dovrà essere regolamentata nel futuro, distruggerebbe i rami a monte della grotta di Re Tiberio, dice una cosa non vera. Da conoscenze dirette, ammenoché non si parli di fessurazioni che ancora non sono a fruibilità speleologica, di quali rami si sta parlando? Forse non tutti sanno che anche noi speleologi quando facciamo attività esplorative rischiamo di alterare, e di molto, il delicato sistema biologico delle grotte. Aprire una fessura per far passare una persona, significa alterare i flussi d’aria esistenti interni al sistema carsico. Quindi al di là del pericolo della cancellazione di grotte dovute all’estrazione di natura industriale, ma non è il caso di cui stiamo parlando in questi mesi, potremmo essere tacciati anche noi, con le dovute equiparazioni, di essere distruttori. Direi che stiamo esagerando”.

Il problema occupazionale, che riguarda lo stabilimento di Casola Valsenio è già all’attenzione di Regione, Provincia e Comuni, perché si trovi una soluzione efficace congiuntamente alla Saint-Gobain proprietaria della cava. Questi impegni furono condivisi dalle parti in causa nell’ormai lontano 2001 a seguito dello studio ARPA, ma da allora nulla è stato fatto.

Sul piano ambientale, la Federazione Speleologica Regionale fa osservare che la Legge Regionale n.10/05 in coerenza con la legge n.6/05 assegna precise finalità al Parco stesso quali “la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale e del paesaggio” inserendo tra queste le “formazioni ed emergenze geologiche e geomorfologiche di interesse scientifico, didattico e paesaggistico”, subordinando a queste “la qualificazione e la promozione delle attività economiche compatibili con le finalità istitutive del Parco e dell’occupazione locale, secondo criteri di sviluppo sostenibile” non si può ovviamente affermare che l’attività estrattiva si possa considerare “sviluppo sostenibile” mentre si può affermare, senza alcun dubbio, che è la forma peggiore di distruzione irreversibile delle “formazioni ed emergenze geologiche e geomorfologiche” in netto contrasto quindi con lo scopo primario della tutela della biodiversità. Riteniamo quindi che sia tempo che l’Ente si esprima in merito.

Approfondimenti e fonti:
Fonte facebook: https://www.facebook.com/GessiCavaMonteTondo/posts/442783330738514

https://www.corriereromagna.it/faenzaspeleogi-contro-tutti-a-difesa-della-cava-di-monte-tondo/

https://www.settesere.it/it/notizie-romagna-casola-per-lo-speleologo-e-consigliere-comunale-benassi-asulla-cava-serve-un-tavolo-di-confrontoa-n31586.php

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