Solleva dubbi e perplessità tra gli studiosi della Federazione Speleologica Emilia Romagna, la richiesta di una multinazionale per l’ampliamento di una cava nella Vena del gesso romagnola, in un’area candidata a sito Unesco, nei pressi della Grotta di Tiberio tra Rivola e Casola valsenio. Previsto un incontro per il 16 Luglio 2020: “Un confronto sui temi ambientali della Vena del gesso Romagnola”.

La richiesta di espandere la cava di Monte Tondo all’interno della Vena del Gesso da parte della multinazionale Saint-Gobain trova l’opposizione della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna.
Nell’ incontro pubblico che si svolgerà Giovedì 16 Luglio a Faenza, gli speleologi spiegheranno al pubblico le proprie motivazioni contro l’espansione della cava.
L’area dei Gessi dell’Emilia Romagna riveste particolare importanza e proprio nel 2017 gli speleologi nel corso del Raduno Internazionale di Speleologia di Casola valsenio avevano avanzato la proposta di candidare i Gessi a Sito Unesco.
La Federazione Speleologica Regionale illustrerà i problemi ambientali che potrebbero derivare dall’espansione della cava che ha già devastato in passato la zona circostante alla Grotta del Re Tiberio, come citato in questo passaggio di Pietro Zangheri nel 1959:

«È motivo di vivo rincrescimento che l’esigenza industriale, anche quando potrebbe farlo con ben lieve sacrificio, non tenga alcun conto delle cose di interesse naturalistico, e scientifico in genere […] questo si verifica qui a Rivola».

L’attività di estrazione del gesso a Monte Tondo era iniziata l’anno prima.

Nel volgere di pochi anni, la cava di Monte Tondo diviene il maggiore sito estrattivo in Europa in riferimento al gesso, determinando un impatto ambientale devastante ed irreversibile in una delle zone di maggior interesse naturalistico e paesaggistico della Regione.

Nel 1989 nasce il Polo unico con la volontà dichiarata di tutelare gli affioramenti gessosi pesantemente alterati e distrutti dalle numerose cave in Emilia-Romagna e per impedire l’apertura di altre, concentrando in un unico punto l’estrazione del gesso. In verità, l’esigenza primaria è di ottimizzare quest’ultima, affidando la gestione della cava ad una grande impresa a carattere nazionale prima, e a una multinazionale poi, in grado di assorbire in termini di quantità ed efficienza, tutte le altre cave della regione.

Ciò ha determinato un intenso sfruttamento dell’area di Monte Tondo, tanto che la Grotta del Re Tiberio, di rilevante interesse naturalistico, speleologico ed archeologico, è stata pesantemente danneggiata. I sistemi carsici presenti all’interno della montagna sono stati intercettati dalla cava, l’idrologia sotterranea è stata irreparabilmente alterata; i tratti fossili di tali cavità, se possibile di ancor maggiore interesse, hanno subito pesanti mutilazioni. Anche le morfologie carsiche superficiali sono state in massima parte distrutte; l’arretramento del crinale nonché la regimazione delle acque esterne hanno pesantemente alterato anche l’idrologia di superficie.
Si tratta appunto della distruzione di quelle caratteristiche uniche che hanno motivato la candidatura dei fenomeni carsici nelle evaporiti dell’Emilia Romagna a Patrimonio dell’Umanità Unesco.

Per tali motivi oggi la cava di Borgo Rivola va considerata di gran lunga la maggiore criticità ambientale di tutte le aree carsiche dell’Emilia-Romagna, nonché, in assoluto, una delle maggiori dell’intera Regione.

Nonostante i molti anni a disposizione, amministrazioni e comunità locali non si sono preoccupati di chiedere e sostenere la necessaria riconversione dell’attività produttiva, in grado di salvaguardare gli aspetti occupazionali e sociali conseguenti alla chiusura del polo estrattivo, prevista dal patto a suo tempo condiviso da tutte le parti in causa.

Più in generale, alle istituzioni pubbliche spetta un basilare ruolo di mediazione tra due esigenze: tutela dell’ambiente e interessi economici. Questi ultimi prevalgono sempre e comunque in maniera esclusiva, senza la benchè minima attenzione alle problematiche ambientali.
La cava è per definizione un’attività non illimitata ed è chiaramente incompatibile con un parco naturale: non esiste, del resto, attività estrattiva sostenibile.

È lecito chiedersi se le future azioni degli Enti Locali saranno coerenti con le delibere e agli impegni assunti riguardo alla proposta di candidatura dei fenomeni carsici nelle evaporiti dell’Emilia-Romagna a “Patrimonio dell’Umanità” UNESCO, considerando che l’eventuale espansione della cava comporterebbe un’ulteriore grave alterazione della Vena del Gesso già profondamente e in modo irreversibile snaturata dall’attività estrattiva e finirebbe per compromettere il buon esito della candidatura stessa in quanto l’UNESCO chiede giustamente che i siti “Patrimonio dell’Umanità” siano adeguatamente protetti.

In questi giorni la multinazionale Saint-Gobain PPC Italia S.p.A. ha richiesto un ulteriore ampliamento dell’area di cava.

Per concludere, gli speleologi si chiedono se il futuro di queste vallate sarà la distruzione indiscriminata di quanto vi è di più prezioso, oppure un’attenta conservazione di questi straordinari ambienti che, per citare l’ultimo “Piano Infraregionale delle Attività Estrattive” (PIAE) sono da considerare “patrimonio naturale unico dal punto di vista geologico/speleologico, naturalistico, paesaggistico ed archeologico.”

Appuntamento:
Giovedì 16 luglio 2020, ore 21.00
Parco del Museo Civico di Scienze Naturali “Malmerendi”
Via Medaglie d’oro – Faenza
“UN CONFRONTO SUI PROBLEMI AMBIENTALI DELLA VENA DEL GESSO ROMAGNOLA”

Vai al comunicato della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna

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