di Euro Puletti

Moltissimi hanno visitato ed esplorato, nei secoli, la Grotta di Monte Cucco. Troppo evidente era, infatti, il suo precipitoso ingresso a tutti i frequentatori, abituali od occasionali, della montagna e troppo potente la sua forza d’attrazione (anche se, spesso e volentieri, unita a quella di repulsione, come ben scrisse l’eccelso umanista Leonardo da Vinci). “Pervenni all’entrata d’una gran caverna, dinanzi alla quale restai alquanto stupefatto e ignorante di tal cosa… E stato alquanto, subito salse in me due cose: paura e desiderio: paura per la minacciante e oscura spilonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa”.
Pochissimi fra essi, tuttavia, hanno lasciato traccia del loro passaggio: ben rari, poi, quelli che si sono firmati col nerofumo della torcia all’interno della cavità ed ancora più sparuti coloro i quali hanno steso, una volta tornati a casa, con penna d’oca, o stilo, ed inchiostro, una relazione, sommaria o dettagliata, della loro visita.
Le esplorazioni documentate nel primo dei due modi citati iniziano, non a caso, in epoca rinascimentale, quando l’uomo torna ad occupare un posto collocato al centro dell’universo e riprende, in lui, l’incoercibile interesse, tutto umano, verso lo studio dei fenomeni naturali.
Le esplorazioni, che potremmo chiamare “controriformistiche e barocche”, del diciassettesimo secolo sono, invece, perlopiù caratterizzate dall’intento di esorcizzare il male, creduto risiedere all’interno delle grotte (che ne fungono quasi da naturale catalizzatore), nell’inquisitore di Gubbio Vincenzo Maria Cimarelli, e dal fine, tutto barocco, di generare, con la prosa più fiorita, meraviglia, stordimento e vertigine negli uditori, in Tommaso Agostino Benigni da Fabriano.
Le visite settecentesche alla Grotta, a cominciare da quella compiuta, nel 1720, dal conte Girolamo Gabrielli di Gubbio, e condotta “con intelletto d’amore”, risentono già del clima d’intenso, e tumultuoso, rinnovamento dell’epoca. Si avverte, in esse, l’anelito ad una conoscenza più compiuta dei fenomeni naturali di contro alle bugiarde favole della tradizione d’origine medioevale. Il Gabrielli dichiara quanto detto alla stregua d’una sorta di manifesto programmatico della sua avventura nella “sotterranea regione” del Monte Cucco. “Queste Grotte, al dir delle nostre vecchierelle, erano un albergo di fate ed un aggregato di tesori; ma nell’ètà mia, più grave mi venne in pensiero che invece di quelle favole, avrei potuto discoprirci qualche meraviglia della natura…”. Rischiarate dai veri e propri lumi della ragione sono, poi, le più tarde esplorazioni dell’abbate fabrianese Giovanni Battista Casini, del professore senese Giovanni Girolamo Carli, dell’erudito costacciarolo Massarello Massarelli Fauni e del marchese eugubino Giovanni Francesco Galeotti della Zecca, che si cala nelle Grotte con finalità prosaicamente pratiche, perché è interessato ai marmi preziosi in esse ipoteticamente presenti.
È, quindi, l’indagine scientifica che trionfa, ormai chiaramente, e dichiaratamente, nel diciannovesimo secolo, con le ricognizioni dello storico tedesco Ferdinando Gregorovius, dell’etnologo perugino, professor Giuseppe Bellucci, “in allora” presidente del CAI di Perugia, e del gualdese Ruggero Guerrieri, ma, soprattutto, sullo scorcio del secolo, di Giambattista Miliani, fabrianese, politico, imprenditore cartario, alpinista ed esploratore, primo vero e proprio indagatore scientifico della Grotta di Monte Cucco. Con lui, esplora la “Caverna di Monte Cucco” il primo scienziato in senso stretto: il paleontologo bolognese, professor Giovanni Capellini e, forse, la prima donna italiana laureatasi in Scienze naturali, Margherita Mengarini, romana, la quale conferirà il proprio nome di battesimo alla principale sala del cosiddetto “ramo turistico” della gran cavità umbra. Euro Puletti

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