Sui Monti Cimini, facendosi strada tra noccioleti e sentieri ormai chiusi dalla vegetazione spontanea, si giunge ad una camera quadrangolare scavata nella roccia con la pavimentazione completamente allagata. Un piccolo ruscello la fa defluire in una vasca a cielo aperto poco distante. Sulla parete di fondo della camera sfocia un cunicolo a sezione ogivale lungo circa 70 m, interamente scavato in strati di accumulo di sedimenti rocciosi di varia origine e di diversa compattezza, ben visibili e distinguibili sulle parteti. La pendenza è incostante dal fondo verso lo sbocco, così come l’altezza.
Ad un livello superiore corre un altro cunicolo con caratteristiche analoghe: i due corrono paralleli per un tratto di pochi metri, poi si intersecano mantenendo ciascuno la propria autonomia, confluiscono solo nel punto in cui sfocia il cunicolo superiore.
Probabilmente essi sono stati scavati in momenti differenti al fine di potenziare il deflusso delle acque.
A poca distanza si sviluppa, per circa 40 m, un altro cunicolo con andamento rettilineo, poi l’interro, dovuto a deposito naturale, non permette di verificare il proseguimento. Lo sbocco è caratterizzato dalla presenza di un pozzo laterale. Esso confluisce in una valletta sul bordo di un fosso.
Nell’insieme si tratta di sistemi di drenaggio e di canalizzazione delle acque realizzati in un momento imprecisato dell’antichità, testimonianti, accanto alle altre numerose cavità artificiali localizzate a poca distanza, un utilizzo intensivo della zona.
Le attività di esplorazione e di rilievo sono state svolte da chi scrive insieme a Tullio Dobosz.

Elena Felluca

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