La storia esplorativa del Buso dea Giasara BVC1” (VVI 2002) inizia alla fine degli anni ’80. In territorio del comune di Conco, in Val Ceccona (quota 960 metri s.l.m.), proprio nel bel mezzo della grande scarpata meridionale dell’Altopiano di Asiago, gli amici del Gruppo Speleologico Settecomuni di Asiago individuano l’ingresso di un ampio P15 che si apre nei Calcari Grigi di Noriglio. Dall’ingresso in periodo estivo esce una fredda e violenta corrente d’aria. Fino a pochi decenni prima della scoperta l’ingresso della grotta, parzialmente adattato con la costruzione di muri a secco, veniva utilizzato dagli abitanti delle contrade vicine per mettere al fresco il latte e i formaggi in periodo estivo. Sul fondo del pozzo una grossa frana sembra occludere ogni possibile prosecuzione, quota – 21 metri. L’aria sibila fra i massi e così nei primi anni ’90 il GS7C decide di intraprendere un grosso lavoro di sbancamento. La grande frana viene asportata dalla zona più profonda del pozzo e consolidata con due sbarramenti in successione, realizzati dapprima con tronchi d’albero, ben presto sostituiti da più solidi tubi Innocenti. Il flusso d’aria è incredibilmente violento. L’asportazione del detrito consente di stabilire con certezza la provenienza del flusso. Si scava ancora, ora più in verticale. Altri tubi vengono immessi, ora orizzontalmente, ora verticalmente, a sostegno delle pareti di frana che non si possono ulteriormente “disturbare”. L’enorme lavoro ripaga gli speleo del “Settecomuni” con la scoperta di uno stretto meandrino. E’ da quell’infimo cunicolo che l’aria “sibila al passaggio”. La disostruzione del lungo pertugio porta a una serie incalzante di pozzetti molto incarsiti e inumiditi dallo scorrere placido di un piccolo rio sotterraneo (P3 – P5 – P4 – P3). Dopo la serie di pozzetti ecco aprirsi un bel P15, sul fondo del quale ogni sogno esplorativo s’infrange di fronte ad un restringimento che stronca brutalmente nel nascere ogni ulteriore velleità esplorativa degli speleo del GS7C. La corrente d’aria è sempre presente e fuoriesce beffarda da un crepo orizzontale largo pochi centimetri, quota -40 metri. Siamo a metà degli anni ’90 e il “Buso dea Giasara” lascia per il momento il posto a nuove grandi e affascinanti esplorazioni al Complesso Abri Sassi e nel gigante Obelix. Nella testa di alcuni soci del gruppo persiste un’idea che continua a girare e rigirare, un sogno, una prova da superare. Il “Buso dea Giasara” potrebbe continuare, perché non provare, quel vento da qualche parte dovrà pure arrivare”. Nel 2003 sono invitato a fare un sopralluogo in Giasara dall’amico Giacomo Silvagni (Jack) e Pierantonio Rigoni (Nino). Arriviamo al fondo e subito gli amici m’indicano la piccola crepa terminale. Mi avvicino con il viso e la violenza dell’aria gelida mi fa chiudere gli occhi e quasi mi spegne la fiamma della lampada. Por… put… senti che robaaaaa! Ecco perché gli amici di Asiago, “non dormivano di notte da anni”. Ora avevo visto con i miei occhi e non potevo che incitare e appoggiare Nino e Jack nell’intraprendere una caparbia campagna di scavi. La decisione è presa. Scaviamo! Per tutto il 2009 gran parte de GS7C è impegnato quasi tutte le domeniche nell’allargamento dell’infimo meandrino a -40 metri. Anche il sottoscritto spesso e volentieri è della partita. Per chi lavora nel cunicolo il freddo da sopportare è intenso, l’aria scorre violenta e gela le mani e gli zigomi, ma si continua, con grande impegno, con grandi fatiche. Avanziamo cinque, dieci metri di fessura, grazie al demolitore elettrico (collegato esternamente al gruppo elettrogeno). Ci stendiamo a pancia all’aria nel budello uno dietro l’altro in tre, quattro, in cinque per fare “passamano” con i secchi pieni di detrito. L’amico Sandro Ronzani con il suo fisico rinvigorisce in varie occasioni la “squadra zappatori”. Un lavoro immane, ma si continua senza scoraggiamenti di sorta. Tutti sono convinti che prima o poi si riuscirà a sbucare da qualche parte. Quel giorno, quando arriverà, forse inizierà una grande avventura. Decine di uscite di scavo e poi una domenica di aprile 2010, l’ennesima uscita di scavo, una squadra sbuca in un meandro più ampio che immette in un P4, sembra fatta e invece, alla base del pozzetto nessuna prosecuzione agibile sembra dipartire. L’ennesima beffa e per giunta è sparita anche l’aria. Poi qualcuno alza la testa e intravvede un piccolo foro a tre metri di altezza, proprio al culmine di un grande deposito di terra mista a ghiaia. Pozzooooooo! Un urlo bestiale rimbomba per tutta grotta. Solo un diaframma di argilla compattata separa l’amico Loris Vellar (Mus) dall’imbocco della nuova verticale. Due calci ben assestati e il piccolo foro nell’argilla si trasforma in una finestra alta due metri e larga uno. Il pozzo ora si vede bene, bellissimo, levigatissimo. Una fragorosa cascata vi precipita. L’acqua che lo alimenta proviene da un grande camino che si staglia nella parete opposta, proprio di fronte a noi. Siamo letteralmente elettrizzati. Attrezzato il nuovo vasto P15 scopriamo subito la prosecuzione e come si potrebbe non vederla visto che si tratta di un grande e nero portale. Lanciamo delle pietre nel vuoto sotto di noi. Precipitano fragorosamente per almeno 40 metri. Stavolta è fatta, la grotta va alla grande. La gioia è incontenibile. A fine aprile 2010 una nuova squadra del GS7C è impegnata nella discesa del grande P40 scoperto la settimana precedente. Anche questo pozzo è stupendo, gradonato e spettacolare. La cascata fiancheggia e accompagna gli esploratori fino al suo fondo, sì ma quale fondo? Sorpresa nelle sorprese, il fondo del P40 non ha un fondo, sì perché al posto di un suolo detritico ecco apparire alla nostra vista, cristalline, le profonde e smeraldine acque di un laghetto. Si riesce ad abbarbicarsi a malapena su una cengettina larga una ventina di centimetri a dirimpetto sullo specchio d’acqua. Incredibile davvero. Siamo giunti a 100 metri di profondità. Su un lato del laghetto Nino vede il pelo dell’acqua incresparsi in prossimità di un esiguo passaggio aereo. L’aria è ritrovata, ma il lavoro di disostruzione è tutt’altro che facile. Il profondo invaso naturale ci costringe a lavorare ancorati a un corrimano che praticamente circuisce il perimetro basale del pozzo. Altre tre domeniche di scavo e finalmente riusciamo ad intravvedere un nuovo ambiente aereo, angusto ma pur sempre foriero di nuove speranze. Ecco, finalmente il passaggio è agibile. Nino, come una biscia, si infila nel cunicolo. Lo vediamo sparire nel buio, un minuto di assoluto silenzio poi l’apoteosi. Il nostro compagno a percorso un breve tratto di meandro che s’immette in un nuovo grandioso barato (P55 m – Pozzo “Petit Garcon”). Grandioso, la Giasara continua alla grande. Siamo entusiasti e al contempo sbalorditi. La sera a cena gran parte del GS7C si riunisce per festeggiare le nuove scoperte al “Kubelek”. Giornata indimenticabile. Il giovedì successivo i compagni Monica Ravagli e Marco D’Arienzo entrano in “Giasara” e raggiunta quota -95 si rendono subito conto che qualcosa nella grotta è profondamente cambiato. Il lago si è completamente prosciugato, non c’è più, letteralmente sparito. I lavori di scavo probabilmente hanno compromesso l’impermeabilità del fondo del bacino e l’acqua (qualche centinaio di ettolitri) si è riversata nel “Petit Garcon”. Il pensiero che tale accadimento avrebbe potuto imprevedibilmente verificarsi durante l’esplorazione del pozzo ci mette letteralmente i brividi. Meglio così, ovviamente. Nuova punta, oggi ci aspetta l’esplorazione del “Petit Garcon”. Lavoriamo non poco per bonificare da una frana l’imbocco della voragine. Il sottoscritto intraprende una dura e lunga lotta con un masso da quintale che non vuol saperne di cadere nell’abisso. Ne esco cotto, ma vincitore. La squadra è composta da me, Nino Rigoni, Loris Vellar, Marco Pesavento e Giacomo Silvagni. L’onore e l’onere di attrezzare il pozzo spetta a me (su invito dei miei compagni di esplorazione). Scendo, scendo, uno, due, tre, cinque frazionamenti e sono quasi arrivato sul fondo della spettacolare verticale. Marco mi raggiunge e anche gli altri iniziano la discesa. Io intanto atterro sul fondo del “Petit Garcon”, completamente inzuppato a causa del copioso stillicidio che percola ovunque. Grido libera e intravvedo subito la prosecuzione. Mi addentro in un basso passaggio e mi ritrovo all’attacco in un grande e altissimo canyon percorso da un torrentello. Vaaaaaa, vaaaaa, la Giassara vaaaaa! Intono questa estemporanea melodia cantandola a squarcia gola. Non resisto e così vado avanti arrampicando per una decina di metri di dislivello fino a raggiungere una sala di crollo. Su un lato del vano vedo un piccolo buco. Lo raggiungo e ci sbircio dentro ma non vedo che nero, nero assoluto. Prendo un piccolo masso e lo faccio precipitare nel vuoto. Una eco incredibile risuona sotto di me. Un nuovo pozzo, anzi no, forse, non capisco più nulla, l’ambiente è vastissimo e riesco ad illuminare solo un suo piccolo lembo. Arrivano Nino, Loris, Giacomo e Marco e con gli occhi che brillano scrutano il buio inesplorato. Trapano, fix, placche e moschi e via, scendiamo la nuova verticale (per fortuna abbiamo con noi un’altra corda da trenta metri). Nino arma e in breve ci ritroviamo tutti alla base di una diaclasi abominevole. Il suolo inclinato di 45° e ingombro di clasti ciclopici, per non parlare di quelli ancora incastrati una ventina di metri sopra le nostre teste. La spaccatura tettonica è altissima, non si riesce a illuminare la sua sommità. E’ larga sei metri e lunga una quarantina. Nella parte più bassa dell’enorme vano scoviamo subito il nuovo passaggio verso l’ignoto. Un pozzettino spaccatura profondo quattro metri ci permette di raggiungere una nuova saletta dalla quale si sviluppa un nuovo pozzo valutato una quindicina di metri. Siamo a -170 metri. Luglio 2010, nuova punta. Della partita il sottoscritto, Nino, Maurizio Mottin (Buba), Monica e di rincorsa Moreno. Raggiungiamo quota -170. Nino e Buba attrezzano il nuovo P15. Io nel frattempo m’infilo in una strettoia e scendo arrampicando sotto cascata una vasta spaccatura per una ventina di metri di dislivello. Sono bagnato fradicio, ma riesco a raggiungere un fondo. Percorro una decina di metri di canyon asciutto e mi ritrovo di fronte ad un nero portale. Vedo le luci di Nino e Buba in lontananza una ventina di metri sopra di me. Avviso gli amici della mia presenza lì sotto e della correttezza della scelta di attrezzare come via preferenziale quella verticale. Poi, quasi timoroso scaglio un sasso nella nuova prosecuzione verticale. I rumori provocati dalla caduta si dissolvono nel fragore lontano di una grande cascata. Il pozzo – canyon è molto profondo. Quando arriverete qui vedrete cosa vi aspetta, grido ai miei amici. Risalgo e raggiungo Monica, mentre Buba, Nino e Moreno sono già impegnati nell’attrezzamento del canyon che ho appena visto. Arriva così domenica 17 luglio 2011, un’altra giornata storica per il Gruppo Speleologico Settecomuni di Asiago. Oggi il programma prevede la realizzazione di riprese video (Video Loch) che andranno a rimpinguare quelle già effettuate dal GSS in altre grandi cavità in fase di esplorazione in Comune di Lusiana e Conco (in fase di completamento la produzione di un film speleologico che sarà proiettato al pubblico i primi di agosto 2011 a Lusiana). Contemporaneamente alle riprese si effettuerà una nuova punta esplorativa a partire da quota – 180 metri. Oggi siamo in cinque, Nino Rigoni, Giacomo Silvagni, Monica Ravagli, Chiara Savarino (socia del GS7C fresca di corso frequentato in primavera a Bassano) ed il sottoscritto. Le riprese sono impegnative, ma spettacolari. Il video reporter ufficiale è naturalmente Giacomo. Nino è il Virgilio della grotta. E’ bello vederlo descrivere davanti alla telecamera le tappe esplorative che hanno permesso di scoprire questo fantastico abisso, lui che assieme a Sandro, Giacomo e Loris, aveva sempre scommesso sulle potenzialità di questa grotta. Riattrezziamo un P40 e il Petit Garcon (P55), disarmati la settimana prima da Nino e Loris, impegnati in una sistematica e quanto mai riuscita bonifica definitiva di alcune piccole cenge instabili. Per il “Petit” è pronta una nuova 100. Armo il 40 e il 55 seguito a ruota da Monica e Chiara. Nino e Giacomo sono al lavoro per le riprese, ma presto ci raggiungono a quota -180. Chiara, reduce da un’uscita a – 280 metri in Spaurasso è letteralmente entusiasta per la bellezza della “Giasara”. Ci raggruppiamo nella “Saletta Bivacco” e, dopo l’allargamento di una strettoia, ci concediamo un fugace pranzetto. Tutti a turno scrutiamo nell’imbocco del nuovo canyon. Caspita com’è profondo, escama Chiara. Come dargli torto? Nino scende, lo vediamo diventare piccolo. Atterra su una cengia venti metri sotto. Non si riesce a comunicare bene a causa del fragore della cascata. Raggiungo Nino che è già impegnato nell’approntare un nuovo frazionamento. Uneo alla mano, in breve il frazionamento è pronto. Riparte verso l’ignoto, sempre accompagnato dal getto della cascata. In lontananza il canyon si meandrizza, notiamo un fondo, un torrente fragoroso, uno specchio d’acqua. Nino atterra in fondo al canyon, lo seguo. Anche Monica, Giacomo e Chiara stanno scendendo verso di noi. Cacchio che fondo. Il laghetto è lungo sei metri e largo più di uno. Pareti dritte come fusi, appigli zero, possibilità di sprofondamento assai. Meglio attrezzare una tirolese. E così facciamo. Superiamo tutti e cinque il laghetto, l’altimetro segna – 210 metri. Grande Giasara. Raggiungiamo una grande sala di crollo e, tutti assieme, scopriamo la nuova via verso il cuore dell’Altopiano. Abbracci, baci (solo alle donne ovviamente), euforia alle stelle anche se qui sotto non ci sono. Atrezziamo, attrezziamo. L’Uneo ha fatto il suo dovere a pieno oggi, ma è stanco e riesce a regalarci l’ultimo foro “a stento”. Doppiamo con un ancoraggio naturale e via. Sceso un nuovo P6 Nino sparisce in un meandro. Lo seguo cercando di non perderlo di vista (ambiente labirintico). Giacomo e Chiara seguono me, mentre Monica rimane nella grande sala ad aspettarci. Nino supera una prima strettoia, tratto di cunicoli semi ostruiti da deposito di ghiaie e argille. Percorriamo ancora una decina di metri, altra strettoia che Nino riesce ad allargare manualmente. Scivoliamo attraverso un nuovo cunicolo inclinato e fangoso. Ci accorgiamo che la zona è completamente tappezzata di fango. Zona sifonante? Si, durante le piene tutto il tratto che abbiamo percorso si riempie d’acqua che decanta il limo e le sottili ghiaie. Vuoi vedere che chiude? No, assolutamente no, non è possibile. Infatti e così. Nino a quota – 220 metri scopre un piccolo meandrino che porta all’ibocco di un grandioso pozzo salone profondo una ventina di metri. Restiamo senza parole, Giacomo ci raggiunge e quasi non crede ai suoi occhi e alle sue orecchie. Un’ultima ripresa video e poi cominciamo a risalire. Mentre risaliamo pensiamo a dove ci porterà la Giasara. Forse un domani potremmo ritrovarci dentro Obelix o forse ancora più in basso, in Abri Sassi. Solo sogni? No, ne siamo certi! Forse sono stato un po’ prolisso, ma per la Giasara, ne valeva la pena.

Michele Tommasi
Gruppo Speleologico Settecomuni Asiago

Di

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *