Appuntamento al Raduno Speleologico a Capovolta (Volta Mantovana) alle 17.30 di venerdì 31 ottobre: “Nel ventre del Mittelbergferner: viaggio nei fiumi nascosti del secondo ghiacciaio del Tirolo”

La spedizione speleoglaciale sul MittelbergFerner (Alpi Venoste, Austria) ha consentito il prolungamento dell’esplorazione di un vasto sistema subglaciale impostato su substrato roccioso di gneiss. In cinque mesi, il ghiacciaio ha perso fino a 4 m di spessore, evidenziando il rapido ritiro e la trasformazione morfologica indotti dai processi di fusione estiva. L’équipe composta da M. Trombini, L. Bordin, C. Monticone, A. Benassi e P. Turrini ha documentato una traversata di circa 1,2 km attraverso gallerie e forre glaciali attive, tra fenomeni di collasso, erosione e modellamento idrico del ghiaccio. L’indagine fornisce dati qualitativi sul comportamento strutturale di grotte glaciali in regime di cambiamento climatico e sottolinea il valore effimero e scientifico di questi ambienti in rapida evoluzione.

Testo di Andrea Benassi
Cinque mesi, tanto è passato dall’ultima volta che eravamo stati sul grande ghiaccio del MittelbergFerner, sopra la valle di Pitzal sul versante austriaco delle Alpi Venoste.
Cinque mesi, un estate, in apparenza un battito di ciglia ma che per una grotta glaciale nell’epoca del riscaldamento globale, equivalgono ad un’era geologica.
I giorni prima di partire ci domandavamo cosa potesse essere cambiato nel grande sistema subglaciale che stavamo esplorando.
A maggio avevamo percorso circa 400 metri dall’ingresso alto, traversando una grande forra impostata su una strettoia rocciosa nel bedrock: per tetto una volta di ghiaccio, per pareti solido gneiss, sul fondo tanta acqua gelida e spumeggiante.
Ci eravamo fermati per fine corde su una sala che scompariva nell’oscurità.
Cosa avremmo trovato questa volta? Guardando le immagini satellitari più aggiornate, il ghiaccio sembrava aver perso parecchia massa, alla faccia dell’estate fresca.
Anche questa volta siamo in cinque, Paolo, Lorenzo, Maria, Lazzaro e Andrea; lo zero termico sotto i 3000 metri ci promette che l’acqua sarà tanta ma non troppa.
In tutti i casi questa volta siamo tutti provvisti di muta stagna e pronti a giocare ai salmoni.
Visto il dislivello e dove ci siamo fermati, ci siamo portati 220 metri di corde, una valanga di viti da ghiaccio e un trapano.
Davanti all’ingresso le immagini satellitari prendono corpo: mancano tre o forse quattro metri di ghiaccio di spessore, persi in una sola estate.
Il primo tratto della gallerie scorre orizzontale e ora che si trova ricoperto da poco ghiaccio si presenta ancora più instabile.
Gli oltre 15 metri di larghezza di questa parte di galleria sfidano la resistenza alla flessione del soffitto che infatti in un punto è collassato, poi la grotta comincia a scendere e prende decisa la sua strada verso valle, stretta in una gola di roccia sotto un cielo di ghiaccio ancora spesso.
Questo è l’inizio della forra, si tratta di un punto di vincolo della struttura, una zona dove il drenaggio subglaciale è definito dalla struttura stessa del bedrock, le acque di questa parte del ghiacciaio scorrono in questo punto da sempre.
Corde, viti e fix, armano rapidamente un centinaio di metri di traversi e saltini fino a lasciarci nella grande sala di crolli e sfogliamenti che avevamo visto la scorsa volta.
Il comportamento degli strati di ghiaccio non è facile da valutare. Spessore, compressione, stratificazione, ampiezza delle gallerie, sono tanti i fattori che rendono più o meno solida una grande sala nel ghiaccio.
Quando gli ambienti somigliano ad un gigantesco millefoglie, con strati torti, scollati e sbriciolati a terra, una buona dose di rispetto e timore sono le qualità più utili.
Rispetto all’ultima volta l’ambiente è cambiato enormemente: interi blocchi di ghiaccio lunghi decine di metri, sono semplicemente scomparsi, fusi, spazzati via dalle incredibili piene che devono essersi riversate in questi luoghi durante l’estate.
Ancora qualche salto e siamo sul fronte esplorativo: una cascata che scende inclinata in più bracci per una ventina di metri in una enorme galleria.
Il rumore dell’acqua è impressionante, praticamente ci parliamo a gesti. Cinque viti e altri cinquanta metri di corda dopo siamo sul fondo.
La galleria continua grande e una volta tanto anche di aspetto stabile. Timore e disagio lasciano il posto a gioia e gioco, grazie alle mute stagne continuiamo a scendere tra rapide, vasche e saltini.
Davanti ad una specie di forra-toboga tiriamo fuori l’ultima corda e sopratutto le ultime viti. Sotto ovviamente la grotta continua.
A questo punto lasciamo tutto e andiamo avanti disarrampicando, disagio e timore fanno timidamente la loro ricomparsa.
Disarrampicare su placche di gneiss battute dall’acqua con i ramponi non è proprio il massimo e bisogna tenersi ben lontani dal margine di rischio in un posto del genere.
In qualche modo riusciamo a scedere, la galleria sembra cominciare a spianare, mentre fanno la loro comparsa nuovi saloni millefoglie.
Distese di blocchi frantumati si alternano a galleria larghe oltre venti metri. Cominciamo a pensare che sarebbe anche ora di arrivare… in linea d’aria l’ingresso da cui siamo entrati dista poco meno di un chilometro dal fronte glaciale e prima o poi la corsa dovrà per forza finire eppure continua.
Curva su curva metro su metro e anche le ore cominciano ad accumularsi. Poi dietro l’ennesima curva il buio cambia colore, il ghiaccio prende i mille toni dell’azzurro e insieme alle nostre urla appare un punto di luce.
La galleria è comoda e ormai stiamo praticamente correndo, quel punto diventa una macchia di luce, ma non tardiamo a scoprire che quella non sarà la nostra uscita.
Siamo finiti sotto un grande pozzo, un mulino di oltre dieci metri di diametro, forse venti di altezza, da qui non si esce!
La cosa più incredibile è che cinque mesi fa questa cosa non esisteva!
Davanti a noi la grotta riprende a scendere lunga una grande bancata rocciosa e le dimensioni si fanno incredibili, oltre trenta metri di larghezza, il soffitto totalmente modellato dagli scallops.
Questa roba avrà vita molto breve! Più avanti altri punti di luce lontani ci dicono che siamo arrivati veramente sul fronte del ghiacciaio, la galleria davanti a noi si tinge di blu e ci dice che siamo praticamente sulla bocca glaciale attraverso cui tutta l’acqua che abbiamo seguito esce definitivamente nella valle di Pitzal.
Quando usciamo è ormai quasi buio, il nostro viaggio sotto il ghiaccio è durato quasi otto ore, non male.
Una incredibile traversata con uno sviluppo di oltre 1,2 chilometri, che fa di questa grotta subglaciale una delle più lunghe attualmente esistenti sull’intero arco alpino.
Un percorso in un mondo effimero e bellissimo, destinato in pochi anni a scomparire per sempre, ma non per questo meno reale.
Un luogo con cui abbiamo intrecciato un frammento delle nostre vite e che proveremo a raccontare con parole e immagini nel prossimo Raduno Speleologico a Capovolta (Volta Mantovana) alle 17.30 di venerdì 31 ottobre: “Nel ventre del Mittelbergferner: viaggio nei fiumi nascosti del secondo ghiacciaio del Tirolo”
Partecipanti alle esplorazioni di ottobre sul Mittelbergferner:
Maria Trombini, Lorenzo Bordin, Lazzaro (Cristian Monticone), Andrea Benassi, Paolo Turrini