Formazioni sotterranee scavate dall’acqua di fusione minacciano l’instabilità idrogeologica e le comunità locali. Gli studi di ricercatori internazionali rivelano dinamiche critiche.
Il ruolo delle grotte nella destabilizzazione dei ghiacciai
I ghiacciai dell’Himalaya stanno subendo un processo di scioglimento accelerato, con un ritmo stimato in circa due metri all’anno.
Un elemento chiave in questo fenomeno è la formazione di grotte glaciali, strutture scavate dall’acqua di fusione che erodono i ghiacciai dall’interno.
Queste cavità, documentate in particolare nei ghiacciai del Khumbu e del Ngozumpa, vicino all’Everest, agiscono come veri e propri “tunnel” di drenaggio, favorendo il collasso progressivo della massa glaciale.
Le esplorazioni condotte da Jason Gulley, geologo dell’Università della Florida del Sud, e Doug Benn, glaciologo dell’Università di St Andrews, hanno rivelato come l’aumento delle temperature stia intensificando la produzione di acqua di fusione.
Quest’ultima, scorrendo in profondità, genera reti di gallerie che indeboliscono la struttura dei ghiacciai, accelerandone la frammentazione.
La morfologia dei ghiacciai himalayani
A differenza dei ghiacciai alpini, quelli himalayani sono spesso ricoperti da uno strato di detriti rocciosi, spessi fino a 1,5 metri, originati dalle frane e dalle valanghe delle montagne circostanti.
Questo manto, inizialmente ritenuto protettivo, non è sufficiente a isolare la sottostante massa glaciale dal riscaldamento climatico.
Sul ghiacciaio Ngozumpa, uno dei più estesi della regione, il riscaldamento ha portato alla formazione di migliaia di doline superficiali, depressioni che ospitano laghi effimeri.
Quando questi bacini si svuotano improvvisamente, l’acqua penetra nelle fessure del ghiaccio, ampliando le grotte sotterranee e innescando ulteriori cedimenti.
Esplorazioni e scoperte scientifiche
Le prime spedizioni speleologiche nei ghiacciai himalayani risalgono al 2005, quando Gulley e Benn iniziarono a mappare le cavità del Ngozumpa.
Le condizioni estreme, con quote tra i 4.500 e i 5.500 metri, hanno reso le esplorazioni particolarmente complesse.
Le grotte, spesso instabili, presentano pareti soggette a crolli improvvisi e pavimenti ricoperti da una sottile crosta di ghiaccio, sotto la quale si celano vuoti profondi fino a due metri.
Attraverso l’analisi di immagini satellitari e rilievi con droni, i ricercatori hanno ricostruito l’evoluzione delle doline.
Uno studio del 2023, guidato da Ryan Strickland dell’Università dell’Arkansas, ha dimostrato che le depressioni si espandono più rapidamente man mano che aumentano di dimensioni, confermando l’ipotesi di un feedback positivo tra scioglimento e formazione di nuove cavità.
Un circolo vizioso: dall’acqua alle frane
Il processo di erosione interna segue un meccanismo autosostenuto.
L’acqua di fusione che si infiltra nelle grotte scioglie ulteriormente il ghiaccio, allargando i tunnel e creando nuove depressioni in superficie. Queste, a loro volta, catturano altra acqua, alimentando il ciclo.
«È un cancro che consuma ciò che resta del ghiacciaio», ha dichiarato Gulley, paragonando l’azione delle grotte a una malattia progressiva.
Sul Ngozumpa, il fenomeno ha portato alla formazione del lago Spillway, un bacino lungo 800 metri delimitato da una diga naturale di detriti. Il collasso di questa barriera potrebbe rilasciare milioni di metri cubi d’acqua, minacciando le valli sottostanti.
Impatto sulle comunità locali
I villaggi sherpa, come Gokyo e Namche Bazar, sorgono in prossimità di questi ghiacciai.
Le infrastrutture idroelettriche e i ponti sono esposti al rischio di inondazioni lampo (GLOF, Glacial Lake Outburst Floods), eventi catastrofici causati dal cedimento improvviso dei laghi glaciali.
Nel 1985, un simile episodio distrusse 30 case e una centrale idroelettrica nella regione del Khumbu.
Teiji Watanabe, geomorfologo dell’Università di Hokkaido, sottolinea come la superficie dei laghi glaciali nell’area dell’Everest sia triplicata negli ultimi trent’anni. «Il tasso di cambiamento è allarmante», ha affermato, evidenziando la necessità di sistemi di monitoraggio avanzati.
Il declino irreversibile dei ghiacciai
Le osservazioni sul campo mostrano che le grotte stanno migrando verso quote più elevate, seguendo il ritiro dei ghiacciai.
Sul Ngozumpa, le cavità un tempo attive nella parte inferiore sono oggi quasi scomparse, sostituite da crepacci e superfici collassate. Tuttavia, a monte, nuove formazioni continuano a svilupparsi, segno di un’erosione inarrestabile.
Secondo i modelli climatici, entro la fine del secolo, i ghiacciai himalayani potrebbero perdere fino all’80% del loro volume.
Questo comporterebbe non solo un aumento del rischio idrogeologico, ma anche la riduzione delle riserve d’acqua dolce da cui dipendono milioni di persone in Asia.
Conclusioni: una sfida per la ricerca e la mitigazione
La comprensione delle dinamiche delle grotte glaciali rappresenta un tassello cruciale per prevedere l’evoluzione dei ghiacciai.
Le spedizioni di Gulley e Benn hanno aperto la strada a nuove metodologie di studio, combinando speleologia, geologia e tecnologia di telerilevamento.
Tuttavia, la velocità dei cambiamenti supera spesso le capacità di adattamento delle comunità locali.
Programmi di cooperazione internazionale, come quelli promossi dall’ICIMOD (International Centre for Integrated Mountain Development), mirano a sviluppare sistemi di allerta precoce e piani di gestione del territorio.
La sfida, ora, è trasformare i dati scientifici in strumenti concreti per la sopravvivenza delle popolazioni himalayane.
Fonte e articolo originale: National Geographic https://www.nationalgeographic.fr/environnement/sciences-geologie-ces-grottes-precipitent-la-fin-des-glaciers-himalayens