Da un po’ di tempo, senza abiurare il mio primo gruppo di appartenenza speleologica, ho sentito l’esigenza di uscire allo scoperto. La sensazione di protezione che l’appartenenza ad un gruppo può darti è molto piacevole nei primi anni di speleologia ma con il tempo, almeno a me è successo così, sorge il desiderio di fare cose diverse, di conoscere altri speleologi e altre modalità di fare speleologia. Più che modalità, la tecnica è sostanzialmente sovrapponibile a livello nazionale, si tratta proprio di stili diversi di concepire l’andare in grotta.

Ho iniziato così il mio viaggio nell’Italia speleologica, un percorso costellato di esperienze e di nuove conoscenze, un personalissimo studio antropologico ancora ben lungi dall’essersi esaurito. E’ appena iniziato!

In questo primo biennio di “viaggio” ho frequentato gruppi diversi, ho partecipato a campi esplorativi, spedizioni anche all’estero, formato nuovi speleologi, seguito corsi di aggiornamento, mi sono perfino iscritta a geologia per poter frequentare un corso di carsismo con tanto di campo geologico: una esperienza indimenticabile.

Ma non ho ancora gli elementi per poter fare una sintesi, devo vivere ancora tante esperienze per potermi sentire in grado di rappresentare una Italia speleologica che esplora, che si aggiorna, che studia il suo ambiente d’elezione, che lo rappresenta con le immagini e le parole.

Questo agosto, ho inserito un ulteriore tassello al mio puzzle di esperienze: ho partecipato al campo in Alburni organizzato dalla federazione campana ed aperto a tutti coloro interessati a conoscere un territorio per la prima volta ma soprattutto per continuare le esplorazioni che da anni vengono portate avanti con passione e sacrificio.

Al campo ero la donna più nordica, confusa per emiliana ma dentro le mie vene scorre solo sangue romagnolo 😉 a parte queste facezie, mi è piaciuto immergermi nel sud, nel calore delle relazioni e nei tempi blandi. Mi ci ritrovo, mi sento una donna del sud.

La figura carismatica di Franz, deus ex machina del campo, senza di lui non si mangiava (capimose), è stato il mio riferimento da subito visto che è stato lui a venirmi a prendere a Sicignano degli Alburni dove un autobus sostitutivo delle linee ferroviarie, preso ad Eboli (ed ogni riferimento a Carlo Levi è superfluo), mi ha scaricato davanti al Ristorante O’ camionista dopo 8 ore di viaggio in treno.

Il mio bagaglio era ridotto al minimo: uno zaino da 50 litri + un bagaglio a mano e uno sportone Ikea dove avevo cacciato la tenda e la sacca speleo. Sul Frecciarossa mi avranno scambiato per una homeless anche se ancora non puzzavo come al ritorno 😉


Foto Giampaolo Pinto

Arrivata alle 9 di sera al campo, Franz ha dato inizio alla cena che aveva preparato e subito capisco il livello: maialino in agrodolce con verdurine saltate e riso al vapore. Gran gourmet!

Effettivamente me lo avevano detto e non nascondo che è stato una delle variabili che mi ha fatto propendere per questo campo, rispetto ai tanti che fortunatamente vengono organizzati da anni nelle varie aree carsiche d’Italia: in Alburni si mangia bene e tanto! Poi alla prima occasione fatevi raccontare da Franz l’aneddoto che spiega perché ora noi speleologi affamati possiamo beneficiare di cotante leccornie.

Esonerata dal montaggio della tenda per quella sera, mi addormento finalmente dentro al mio sacco a pelo leggerissimo, dentro al casone che è stato messo a disposizione dal comune di Petina. Nella scelte del materiale da portare avevo privilegiato le cose più leggere “tanto vado al sud” ma a 1400 metri s.l.m. è freddino, meno male che questa è stata una estate anomala.

A seguire giornate intense di esplorazione del territorio, che in superficie ci racconta una vita geologica intensa e storie millenarie di scambi tra popoli, e nel sottosuolo invece ci racconta storie di esplorazioni recenti e meno recenti a partire dai triestini che qui esplorarono quelle che poi sono stati i sogni di tanti speleologi locali, diciamo così, fino alle più recenti scoperte: l’ultimo giorno del campo è stato baciato dalla fortuna di trovare una grotta che è stata battezzata “Abisso collettivo dei Piani Aresta” e che è stata dedicata alla memoria di chi ha tanto esplorato in quelle zone: Mario Matrella e Fabio Iovino.

Ovviamente non sono mancati i momenti ludici, quando unendo l’utile al dilettevole, si andava alle sorgenti dell’Auso che fuoriescono dalla montagna a circa 10 gradi, per lavare i piatti, caricare le taniche per il campo, lavare le attrezzature e se stessi. Oppure quando ci si ritrovava senza appuntamento tutti a bere una birra post-grotta al baretto di S. Angelo a Fasanella. Oppure quando a turno si dava una mano a Franz e allora si faceva spesa, si preparava da mangiare. Ho ricevuto anche una specifica formazione su come si fa un buon caffè e da quel momento mi sono sentita investita del ruolo. Mai per obbligo però.

La popolazione del campo ha visto punte di più di 80 persone, tutte messe a tavola, di tutte le età. Non so se sono riuscita a conoscerli tutti ma ci sono andata vicina, mi piaceva scambiare opinioni, scherzare sui fatti del giorno, conoscersi. Anche i piccoli del campo hanno avuto tanto da raccontare sulle loro prime esperienze su corda ed i più grandi anche in grotta.

Esisteva anche una toponomastica del campo: la curva 3G così rinominata dal Presidentissimo, che è sempre connesso, ovvero una curva vicino al campo dei martinesi dove il cellulare prendeva, l’Olimpo ovvero la parte sommitale della collinetta boscosa dove avevamo piantato le nostre tende, solo per citare alcuni dei toponimi più ricorrenti. Devo dire che non sono mai andata alla curva 3G perché è stato bello essere “fuori dal mondo” per dieci giorni, mentre la scelta di non allontanarmi troppo dal casone pigramente ha avuto un retroscena animalesco: una mattina all’alba sono stata accerchiata da un gruppo di cinghiali sgrufolanti ed il risveglio è stato abbastanza traumatico. Mai come l’attacco delle vespe assassine che fortunatamente si è concluso solo con qualche puntura a danno di chi era vicino a me. Io sono stata protetta dai miei capelli blu evidentemente emananti un fluido sgradevole per quegli imenotteri.

Come anticipato, erano presenti nello stesso periodo anche i martinesi e il gruppo di ricerche Aires con i quali ci sono stati scambi, condivisione di alcune esplorazioni e poi il gran finale a S. Angelo per la sagra paesana con tanto di concerto di Eugenio Bennato, bellissimo, con una immersione totale con la vita di paese che da anni ha riconosciuto negli speleologi una risorsa importante per la valorizzazione di questo territorio.

Gli aneddoti da raccontare sarebbero tanti, come la caduta del disto-x presidenziale da un pozzo di 60 m, l’aperitivo sull’Antece con tanto di racconto epico mentre il sole tramontava sulla costa cilentana, il bagno di Giuditta che per salvare le birre messe al fresco nel torrente ha pagato con la sua integrità fisica (una eroina), i racconti di grotta fatti davanti ad un the caldo oppure davanti ad una risalita, sicuramente tutti conservati nella mia memoria.

Nell’animo rimane una sensazione dolce di 10 giorni trascorsi in un luogo affascinante attorniata da amici vecchi e nuovi che vorrei ringraziare uno ad uno per quanto condiviso assieme in attesa di rivederci e di vivere assieme nuove esperienze.

Grazie di cuore!

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