Dall’estrazione ottocentesca al Parco Minerario Valentino Paparelli, un viaggio attraverso le trasformazioni economiche e culturali dell’Umbria


Le Origini dell’Attività Mineraria

La miniera di lignite di Buonacquisto, situata nella frazione del comune di Arrone (TR), rappresentò un pilastro economico per l’Umbria a partire dalla seconda metà del XIX secolo.

La scoperta di giacimenti di lignite, un carbone fossile a medio-basso potere calorifico, incentivò l’avvio dell’attività estrattiva.

La vicinanza alle vie di comunicazione dell’epoca e la crescente domanda di combustibile per uso industriale favorirono lo sfruttamento sistematico del sito.

I primi scavi furono condotti con tecniche rudimentali, ma già nel tardo Ottocento la miniera attirò l’interesse di società private, che iniziarono a investire in infrastrutture e attrezzature.

La lignite estratta veniva utilizzata principalmente per la produzione di energia, alimentando le nascenti industrie locali.


Lo Sviluppo nel Novecento e il Periodo Bellico

Il XX secolo segnò una fase di espansione per la miniera di Buonacquisto, in particolare durante il periodo tra le due guerre mondiali.

In un’Italia orientata all’autarchia, la lignite divenne una risorsa strategica per ridurre la dipendenza dal carbone estero.

Tra gli anni ’30 e ’40, la produzione raggiunse picchi significativi, sostenuta dalle politiche energetiche del regime fascista.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, la miniera visse un momento di intensa attività.

La produzione di lignite xiloide, utilizzata per la metallurgia e l’industria bellica, raddoppiò tra il 1940 e il 1941, passando da 873.040 a 1.768.757 tonnellate annue.

La provincia di Terni, in cui ricadeva Buonacquisto, contribuì con circa 48.179 tonnellate nel 1943.

Nonostante le difficoltà logistiche e i rischi legati al conflitto, il sito rimase operativo fino al novembre 1943, quando l’avanzata del fronte ne impose la chiusura temporanea.


Il Declino Postbellico e la Chiusura Definitiva

Con la fine della guerra e l’avvento di fonti energetiche più efficienti come petrolio e gas naturale, la domanda di lignite subì un drastico calo.

Negli anni ’50, molte miniere italiane chiusero a causa della scarsa competitività.

A Buonacquisto, l’estrazione proseguì a ritmi ridotti fino al 1957, anno della dismissione definitiva.

La chiusra segnò la fine di un’epoca per la comunità locale, che per decenni aveva basato la propria economia sul lavoro minerario.

Le infrastrutture residue, tra cui la fornace per la produzione di calce costruita nel 1939-1940, vennero smantellate.

L’impianto, che aveva assorbito il 40% della lignite estratta nel 1953, cessò ogni attività insieme alla miniera.


Tecniche di Coltivazione e Strumenti di Lavoro

L’estrazione della lignite a Buonacquisto avveniva sia a cielo aperto che in galleria.

Le tecniche variavano in base alla morfologia del giacimento: in presenza di banchi superficiali si preferivano scavi diretti, mentre per i giacimenti profondi si utilizzavano gallerie di carreggio e pozzi verticali.

I minatori operavano in condizioni pericolose, utilizzando attrezzi manuali come accette, mazze e punte.

Le “camere di abbattimento”, spazi scavati nella roccia per far crollare la lignite sovrastante, richiedevano abilità e precisione per evitare cedimenti.

Le gallerie, spesso anguste, erano sostenute da travi in legno, sostituite progressivamente con strutture metalliche negli anni ’40.


Logistica e Trasporto del Materiale

La posizione montana della miniera rese il trasporto della lignite una sfida costante.

Inizialmente, il materiale veniva movimentato con muli fino a valle, dove veniva caricato su autocarri.

Negli anni ’20, l’introduzione di una ferrovia Decauville e di un piano inclinato automotore migliorò l’efficienza.

Il sistema, perfezionato negli anni ’50 sotto la gestione di Torlonio Noceta, prevedeva il trasferimento della lignite attraverso vagoncini fino a Valle Avanzana.

Qui, dopo una prima selezione, il materiale veniva inviato agli utilizzatori finali, tra cui l’acciaieria di Terni.


La Fornace di Calce: Un’Attività Collaterale

Accanto all’estrazione di lignite, la Società Anonima Mineraria di Piediluco avviò nel 1939 la produzione di calce bianca.

La fornace, situata a 100 metri dal piazzale della miniera, sfruttava il calcare locale e la lignite come combustibile.

Destinata principalmente al mercato domestico, la calce veniva venduta nei comuni limitrofi come Piediluco e Labro.

Nonostante l’ampliamento degli impianti negli anni ’50, l’attività cessò nel 1957, parallelamente alla chiusura della miniera.


Il Parco Minerario Valentino Paparelli: Un Progetto di Valorizzazione

Nel 2016, l’area della miniera è stata riconvertita nel Parco Minerario Valentino Paparelli, intitolato al promotore turistico e studioso umbro.

Il progetto unisce la tutela del patrimonio industriale alla promozione del territorio attraverso percorsi didattici e sentieri escursionistici.

Il parco offre itinerari tematici sulla storia mineraria, la flora locale e le tradizioni popolari.

I visitatori possono esplorare i resti delle infrastrutture, tra cui il piazzale della miniera e le cave di calcare, mentre i sentieri montani collegano il sito alla Cascata delle Marmore e al lago di Piediluco.


Altre Miniere nel Territorio Umbro

Il bacino di Buonacquisto non fu l’unico nell’area umbra.

A pochi chilometri di distanza, le miniere di Ruscio (Monteleone di Spoleto) e Vicchiagnone (Rieti) condivisero una storia simile.

Entrambe sorsero su depositi residuali dell’antico lago Tiberino e furono attive tra la Prima Guerra Mondiale e gli anni ’50.

La miniera di Ruscio, gestita dalla SICEM, raggiunse una produzione stimata di 700.000 tonnellate, mentre Vicchiagnone, di dimensioni minori, fu rilevata dall’imprenditore Torlonio Noceta prima del suo approdo a Buonacquisto.


Conclusioni: Tra Memoria e Sviluppo Sostenibile

La miniera di Buonacquisto rappresenta un esempio emblematico di come i siti industriali dismessi possano trasformarsi in risorse culturali e turistiche.

Il Parco Valentino Paparelli, coniugando storia, ambiente e attività outdoor, dimostra l’importanza di preservare la memoria del lavoro e dell’innovazione tecnica.

In un’epoca di transizione energetica, progetti simili offrono spunti per ripensare il rapporto tra passato industriale e futuro sostenibile, senza dimenticare le radici di comunità legate a mestieri oggi scomparsi.