La Voragine Sprunk o Abisso del Monte Sprunch è una delle grotte dell’Altopiano di Asiago utilizzate fino a qualche decennio fa come discarica autorizzata di rifiuti urbani. Non è certo l’unica, ve ne esistono numerosissimi esempi in tutta Italia.

E mentre alcuni abissi sono stati riempiti fino al colmo tanto che oggi nessuno passandoci sopra si accorgerebbe di alcun che, lo Sprunch ha salvato i suoi primi 80 m di stupendo pozzo carsico, esplorato speleologicamente a partire dagli anni sessanta dai triestini e dagli asiaghesi anche se qualcuno si è probabilmente calato dentro ben prima, come ha potuto, nel tentativo di recuperare forse i resti di 12 soldati gettati dentro nel 1916. Dunque una triste storia la sua, sia come foiba sia come discarica. Un paio di giorni fa siamo riuscite a farvi visita per vedere con i nostri occhi questa situazione e la pubblicazione delle foto ha suscitato un’incredibile indignazione, rabbia, stupore, voglia di fare subito qualcosa, richieste di attivarci subito. No, “tosi”, come si dice quassù, mi dispiace ma pensare di bonificare questa e le grotte che hanno subito la stessa sorte non ha NESSUNA applicabilità.

Non perché non conosciamo le tecniche per farlo ma perché pensare di bonificare un luogo dove per decenni hanno scaricato dentro tutti i giorni camion e camion di rifiuti sarebbe un’opera titanica lontana da ogni ragionevolezza. Credo che non abbiamo molto ben chiara la misura dei rifiuti che anche oggi, anzi ancora di più oggi produciamo e non è solo una fatica dovuta ad una cifra a tanti zeri è anche dovuta al rifiuto della nostra mente di sostare troppo a lungo su pensieri, immagini, considerazioni deleterie, negative, spiacevoli cariche di disgusto. Così come la mia mente vuole fuggire dalle immagini delle tante carcasse di animali, che abbiamo trovato sul fondo dell’abisso, alcune delle quali, insieme ad altri rifiuti non organici gettati dentro probabilmente solo qualche giorno prima. Ho voglia di pensare a qualcosa di bello a un bel posto dove andare domenica per divertirmi e fare divertire gli altri.

Il sole il verde dei prati l’antica bellezza delle pareti di una grotta che l’uomo non ha rovinato, l’emozione di scoprire luoghi bui dove nessuno prima di me ha messo piede. Rifuggire le cose spiacevoli è necessario per vivere serenamente ma non ci fa prendere atto adeguatamente di alcune situazioni purtroppo IRRECUPERABILI allo stato attuale. Dobbiamo renderci conto che al momento non abbiamo soluzioni ragionevoli per alcuni danni che abbiamo fatto all’ambiente e soprattutto è lo speleologo colui che più degli altri non deve stupirsi di fronte ad immagini come questa.

Del resto siamo gli unici che possono toccare con mano quanto siano reali questi casi e la consapevolezza di aver fatto un danno IRREPARABILE è fondamentale. Non è arrendevolezza ma partire da un dato di fatto per muoversi su una linea concreta. Poiché nessuno ha dimostrato che nelle grotte vi sia un buco nero che inghiotte nel nulla i rifiuti, è questa l’acqua che beviamo da decenni e che continueremo a bere ancora. Nei casi come lo Sprunch eventi come puliamo il buio, importanti e già ampiamente fatti in grotte simili vicine, possono solo avere una finalità dimostrativa/divulgativa, simbolica e se pensati come eventi singoli servirebbero a poco perché per quanto possano avere successo, il pubblico ai quali arriverebbe sarebbe comunque limitato. Come tanti gruppi speleo fanno da sempre una cosa davvero utile e fattibile da farsi in questi casi è portare avanti costantemente una educazione che miri a far in modo che danni simili non si ripetano. E’ un lavoro mai finito e non è facile sia perché noi speleo in linea generale non puntiamo molto sulla divulgazione al di fuori della nostra tribù, sia perché come ben sappiamo la speleologia nella testa di chi non è speleologo è una bella fortezza di spiacevoli ed errati luoghi comuni.

Rimuovere dalla testa un’idea sbagliata è più difficile che farne annidare una nuova in una testa priva di idee. E’ un’educazione che deve avere alle spalle ovviamente la consapevolezza di quello che si vuole trasmettere al di là delle reazioni a caldo di rabbia e sdegno che spesso ci portano a buttarci a capofitto in soluzioni poco applicabili ed è un’educazione quindi che deve partire dal coinvolgimento stesso di noi speleologi che tante volte siamo i primi a non sapere. Così come per noi è normale trovare in grotta una stalattite dovremmo insegnarci che è normale avere abissi e abissi tappati da rifiuti o pieni di bombe della grande guerra ai quali una visita non sarebbe male per così dire. Le parole non bastano, non rendono, bisogna andarci. Resto contrariata dal continuo scarico di sassi che c’è in questa grotta perché mi verrebbe voglia di inserirla in un’uscita di corso, anzi, di routine in tutti i corsi.

Va un po’ in antitesi con la nostra corsa a mostrare al mondo intero quanto siano belle le grotte nella nostra eterna contesa di quei pochi che mostrino l’intenzione di volersi avvicinare al mondo della speleologia. Ed effettivamente queste immagini nulla tolgono alla straordinarietà delle grotte non inquinate, stupende, che meritano di essere ammirate, allo stupendo Altopiano che continuo a definire di “Asiago” e non come forse meno conosciuto “dei settecomuni”. Nella mia ricerca del bello e del nuovo mi sono imbattuta per caso anche in grotte come lo Sprunch la cui storia mi stimola a vedere con i miei occhi, a immergere la suola degli scarponi in un pavimento di sporco e di morte.

Per la mia generazione è qualcosa che va un po’ fuori dalle conoscenze che ci trasmettiamo a voce. Per trovarla la storia dello Sprunch ho cercato i racconti del passato, incredibili in tutto e per tutto, storie d’altri tempi che comunque compongono il puzzle della nostra conoscenza del sottosuolo. Viviamo in una società che ci abbaglia di buonismo, di bellezza, di perfezione, di potenza, della convinzione che tutto è possibile e rimediabile, che tutto sia sotto controllo e sicuro, che ci fa credere a ogni virgola pubblicata da chissà chi sui social; per fortuna noi speleologi abbiamo l’occasione di toccare con mano una realtà inconfutabile e irrecuperabile come lo Sprunk che è cruda espressione di quello che siamo e siamo stati. E’ solo sbattendoci il muso che possiamo elaborare una soluzione, una riqualificazione che per essere davvero efficace dovrà essere necessariamente e prima di tutto culturale, mirata e specifica.

Quando vogliamo ottenere qualcosa ma non abbiamo idee nostre, copiamo tutto dagli altri perché vediamo che gli altri in quel modo hanno avuto successo siamo destinati miseramente a fallire. Così noi speleologi, che all’interno della grande famiglia dei frequentatori della montagna siamo ritenuti i piu coloriti, sta a noi la bravura, direi l’arte di trovare la soluzione migliore, nostra, personale per ciascun caso come lo Sprunch.

Prima però ovviamente dobbiamo conoscerli, dobbiamo sapere che ci sono e dove sono, come sono e com’erano. Non che dobbiamo autoflagellarci nel poco tempo libero che abbiamo per imbucarci tutte le volte dentro una discarica però una visita per chi non ne ha mai fatto esperienza meriterà sicuramente, anche se ci siamo ritagliati nel vastissimo mondo speleo un’altra via e complimenti infine a quei gruppi e speleologi che continuano a spendere il loro tempo per fare crescere individui consapevoli e migliori puntando tanto sulla divulgazione.

Valentina Tiberi. Gruppo Speleologico CAI Marostica I barbastrji

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