Sappiamo bene che gli orsi prediligono le grotte per trascorrere il letargo invernale, ma un loro antenato aveva con le grotte un legame ancora più stretto. L’orso delle caverne (Ursus spelaeus) si è estinto circa 12.000 anni or sono lasciando nelle cavità sotterranee le testimonianze di una frequentazione che oltre al letargo prevedeva anche l’allevamento dei piccoli e attività varie legate alla grotta.


Le diverse tracce che noi speleologi troviamo lasciano pensare anche a momenti di gioco e socialità con una fedeltà al sito tanto accentuata che potrebbe aver costituito un indebolimento genetico per consanguineità e le conseguenti malattie che le ossa spesso rivelano. Non estraneo all’estinzione penso sia stato l’uomo, per la facile caccia durante il letargo e la competizione per i ripari sotterranei. Affermatosi come specie circa 350.000 anni fa nella linea evolutiva dell’U. etruscus, l’orso delle caverne si è diffuso dal sud dell’Inghilterra all’Italia centrale e in longitudine dalla Spagna al Mar Caspio. L’appiattimento dei molari ne rivela abitudini prevalentemente vegetariane, rara peculiarità nell’ambito degli ursidi. Aveva le dimensioni degli odierni Grizzly, con un aspetto però più massiccio. Grandi depositi di questi grandi plantigradi caratterizzano alcune grotte del centro Europa. In Italia una ottantina di grotte alpine hanno restituito ossame dell’orso delle caverne. Le grotte di Toirano in Liguria, le Conturines in Alto Adige, i Covoli di Velo in Veneto, La Grotta Pocala presso Trieste, la Tecchia di Equi in Toscana sono alcuni dei siti di rinvenimento di orsi spelei più noti.
Nel 1986 il parroco-paleontologo Don Domenico Rinaldini di Piobbico (PU) mi segnalò una grotta di Monte Nerone dove erano stati avvistati grandi crani. In quella piccola grotta raccolsi i resti di una sessantina orsi delle caverne. Nell’esame biometrico rilevai che l’assimmetria nella presenza dei resti ossei fa pensare ad un trasporto per fluitazione e una conseguente selezione volumetrica dei reperti. Rimane quindi l’enigma di dove sia la vera e grande grotta degli orsi. Nel 2000 ho realizzato nel Museo Brancaleoni di Piobbico una ricostruzione parziale dell’U. spelaeus di Monte Nerone, i cui esemplari vantano le dimensioni massime note per la specie. Nella parte museale realizzata da Luca Girelli, Silvia Renghi e Paolo Formica figura anche la ricostruzione di una parte del pavimento della Grotta degli Orsi oltre a informazioni speleologiche e bio-speleologiche riguardanti le grotte del sovrastante Monte Nerone.
(Nella prima foto del 1986 mia moglie Patrizia mi ha immortalato con un grande cranio nei giorni della scoperta della Grotta degli Orsi. C’è poi lo scheletro parzialmente ricostruito nel museo Brancaleoni di Piobbico e la terza foto rappresenta l’aspetto caotico dell’ossame che trovai nella grotta).

L’articolo è stato pubblicato da Marco Bani nel suo profilo facebook

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