La possibilità che noduli metallici producano ossigeno negli abissi oceanici sarà al centro di un nuovo studio per indagarne i meccanismi e le implicazioni ambientali.
Un progetto per confermare la scoperta
Un team di scienziati marini guidato da Andrew Sweetman, del Scottish Association for Marine Science, ha avviato un progetto di ricerca triennale per approfondire e verificare la scoperta che i noduli metallici presenti sul fondale marino potrebbero produrre ossigeno, definito “oscuro” perché non legato alla fotosintesi.
L’annuncio arriva dopo che lo studio pubblicato lo scorso anno ha sollevato interrogativi e interesse nella comunità scientifica, accendendo un dibattito ancora aperto.
Sweetman ha dichiarato che il nuovo progetto mira a “dimostrare in modo definitivo” la validità della scoperta e a chiarire i meccanismi alla base di questo fenomeno.
“Sappiamo che sta accadendo, ora dobbiamo confermarlo nuovamente e comprendere come avvenga,” ha spiegato.
La scoperta e il contesto scientifico
La ricerca originale, pubblicata a luglio 2024, aveva osservato un aumento dei livelli di ossigeno in aree ricche di noduli di manganese situate a migliaia di metri di profondità, dove la luce solare non arriva e non possono crescere piante o alghe.
Questo risultato ha sfidato la comprensione tradizionale, secondo cui la produzione di ossigeno è legata alla fotosintesi di organismi che utilizzano la luce solare.
Il team ha ipotizzato che i noduli possano agire come “geobatterie”, generando una corrente elettrica che scinde le molecole d’acqua in idrogeno e ossigeno.
Si tratta di un processo naturale ma non legato alla fotosintesi, aprendo così nuovi scenari sulla produzione di ossigeno negli ambienti privi di luce.
Reazioni e critiche alla scoperta
La pubblicazione della ricerca ha attirato grande attenzione mediatica ma anche critiche da parte di altri scienziati e delle aziende coinvolte nell’estrazione mineraria dei noduli.
Tra i principali detrattori c’è The Metals Company (TMC), che aveva inizialmente finanziato parte della ricerca.
In un articolo pubblicato di recente, i ricercatori di TMC hanno messo in dubbio la metodologia dello studio, sostenendo che errori tecnici o un utilizzo improprio degli strumenti potrebbero aver generato dati anomali.
Gerard Barron, amministratore delegato di TMC, ha dichiarato che “affermazioni così significative richiedono prove solide, che al momento non sono state fornite.”
Anche la rivista Nature Geoscience, che aveva pubblicato lo studio di Sweetman, ha confermato di stare esaminando le critiche ricevute, pur non avendo ancora preso una decisione su eventuali azioni.
Sweetman, dal canto suo, difende la validità del proprio lavoro e ha annunciato che risponderà formalmente ai dubbi sollevati.
Ha anche espresso preoccupazione per il clima ostile generato dalla controversia, descrivendo come “difficile” l’esperienza vissuta a causa delle critiche ricevute, soprattutto da parte delle aziende minerarie.
Un progetto ambizioso e innovativo
Il nuovo progetto di ricerca è finanziato da un contributo di 2 milioni di sterline della Nippon Foundation, un’organizzazione giapponese.
La squadra di Sweetman utilizzerà strumenti avanzati, tra cui lander appositamente costruiti in grado di scendere fino a 12.000 metri di profondità, il doppio rispetto agli strumenti usati nella precedente indagine.
La prima delle tre spedizioni previste partirà a gennaio 2026 da San Diego, in California. L’obiettivo è raccogliere nuovi dati sulla produzione di ossigeno nei fondali oceanici del Pacifico.
Gli scienziati sigilleranno campioni di acqua e sedimenti per monitorare eventuali variazioni nei livelli di ossigeno, verificheranno la presenza di idrogeno e utilizzeranno marcatori isotopici per tracciare i cambiamenti chimici negli elementi coinvolti.
Le due spedizioni successive saranno dedicate a esplorare i meccanismi microbiologici o elettrochimici responsabili del fenomeno e a valutare il potenziale contributo dell’ossigeno oscuro agli ecosistemi marini profondi.
Secondo Sweetman, si tratta del primo studio mirato a indagare direttamente questi processi, descrivendo la scoperta iniziale come un “risultato fortuito” durante misurazioni di routine sulla respirazione del fondale marino.
Implicazioni per l’industria mineraria e lo studio spaziale
La ricerca sarà osservata con attenzione anche dall’industria mineraria, interessata a sfruttare i noduli metallici per estrarre materiali preziosi, utili per la transizione energetica.
Le aziende sono in attesa che l’International Seabed Authority stabilisca le regole definitive per le attività di estrazione nei fondali marini.
Se confermata, la produzione di ossigeno oscuro potrebbe rappresentare un ostacolo significativo per i loro piani, evidenziando il ruolo ecologico dei noduli.
Anche la NASA ha manifestato interesse per lo studio, ipotizzando che processi simili potrebbero sostenere forme di vita su altre lune o pianeti.
Appelli alla prudenza
Sweetman ha invitato le aziende minerarie a sospendere le attività finché non saranno disponibili maggiori informazioni sul ruolo dei noduli nella produzione di ossigeno e negli ecosistemi profondi. “Chiediamo solo un po’ più di tempo per capire cosa sta accadendo,” ha concluso il ricercatore.
Con il supporto di strumenti tecnologicamente avanzati e un programma di ricerca strutturato, il progetto si propone di fare chiarezza su una scoperta che potrebbe ridefinire la comprensione dei processi chimici e biologici del nostro pianeta.
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