E’ in uscita fresco di stampa il volume “Le miniere aurifere della Valle Antrona. Storie di Speleologia. Volume 1”, in una intervista doppia abbiamo chiesto a due esperti del settore le loro impressioni sul libro e sulla speleologia in cavità artificiali in generale.

Le miniere aurifere della Valle Antrona. Storie di Speleologia
Le miniere aurifere della Valle Antrona. Storie di Speleologia. Volume 1 di Matteo di Gioia, Underground Adventures e Associazione Culturale Giovan Pietro Vanni, edito da TLS Editrice, Comignano (NO), Febbraio 2022, 209 p.

E’ in distribuzione il volume “Le miniere aurifere della Valle Antrona. Storie di Speleologia. Volume 1”, ne parliamo oggi con Marisa Garberi e Jo de Waele, entrambi ricercatori e speleologi esperti.
In una intervista doppia scopriamo l’essenza della speleologia in cavità artificiali, dello studio, le ricerche di archivio e i riscontri sul campo che questo libro tratta.

Vi vorrei fare qualche domanda a proposito di questo libro: Le miniere aurifere della Valle Antrona. Storie di Speleologia. Volume 1 di Matteo di Gioia.
Ditemi, innanzi tutto che impressione vi ha fatto, così di primo acchito:
Jo_ Ormai mi sono disabituato a leggere storie di speleologia, articoli e resoconti di esplorazioni nei vari bollettini speleologici (… quei pochi rimasti, a dire il vero!). In genere, per questioni di lavoro, mi trovo a leggere descrizioni di esplorazioni più che altro per ottenere informazioni di tipo geomorfologico, speleogenetico, o per ricostruire la storia delle esplorazioni delle grotte (o zone carsiche) in cui mi capita di lavorare, per cui mi piace ascoltare i racconti delle nuove generazioni di speleologi, che narrano di esplorazioni svolte sia vicino casa, sia in luoghi lontani.
In quest’ottica il libro di Matteo Di Gioia e compagni mi ha sorpreso piacevolmente, sia perché contiene davvero un resoconto di esplorazioni speleologiche, e sia perché si respira quel misto di passione, sete di conoscenza e storia.

Marisa_ Il volume è godibile ed interessante, mostra una passione sincera, che io condivido sicuramente e che mi spingerà forse a contattare l’autore per un invito a visitare la Valle Antrona e le sue miniere, importanti testimonianze di un passato che non deve andare perduto! Sono certa che la pubblicazione del volume possa aggiungere un tassello importante alla conoscenza dei luoghi e magari serva a spingere le istituzioni demandate alla custodia del territorio a occuparsi di un passato importante per la valle.

Di cosa parla questo libro?
Jo_ Il libro non parla di carsismo, o di grotte, ma di antiche miniere di pirite aurifera abbandonate da circa un secolo. Cunicoli, gallerie e pozzi dimenticati nel tempo, di cui si trova traccia solo negli archivi minerari delle riviste dei Servizi minerari risalenti alla prima metà del XX secolo o alla fine di quello precedente. Per trovare gli ingressi di quelle antiche miniere occorre partire da una ricerca storica a tavolino, alla quale si devono aggiunge diverse uscite in montagna, alla ricerca di tracce di vecchi sentieri, opere murarie e manufatti abbandonati da oltre un secolo. È un po’ come cercare gli ingressi delle grotte descritte dai primi speleologi ma senza averne le coordinate ed essere costretti a inseguire solo tracce frugali, paesaggi insoliti e osservare particolari indizi celati in prossimità degli ingressi. Per nulla facile.

Marisa_ Si parla di miniere della Valle Antrona, una delle sette valli che si diramano dalla Val d’Ossola (VCO), attraversata dal torrente Ovesca, fino al 1992 nella provincia di Novara, mia città di origine; mi ha riportato a vecchi racconti dei miei genitori sul Picco d’Andolla. Si parla di ri-esplorazione di miniere antiche di pirite aurifera, che l’autore insieme ai compagni del suo gruppo ha riesplorato con caparbietà, propensi a non arrendersi e decisi a cercare tutte le strade per riuscire a percorrere queste miniere, così interessanti per la forma che si percepisce del giacimento e delle tecniche utilizzate per sfruttarlo.

Vorrei chiedervi di darmi la vostra interpretazione di questa riesplorazione, immagino che la vedrete in ottiche differenti, visto che vi occupate, tu Jo di grotte naturali e tu Marisa di Cavità artificiali?
Jo_ Leggendo le parole di Di Gioia si percepisce la stessa sensazione che lo speleologo ha dinanzi all’imbocco di un pozzo inesplorato: non si vede l’ora di entrare per vedere cosa si nasconde oltre l’ingresso. Ma qui iniziano le grandi differenze. Mentre in grotta si può davvero essere i primi a metterci i piedi, nelle miniere si ripercorrono le tracce di quei minatori che, con estenuanti lavori, hanno consumato la loro vita per poter sfamare le famiglie.
A distanza di un secolo certe gallerie sono state riconquistate dalla natura, con fondi fangosi ora incontaminati, ma non è la stessa cosa, anche se la sensazione può essere molto simile a quella di una vera esplorazione. In miniera, infatti, non scopriamo rami nuovi, ma ri-scopriamo antichi labirinti dimenticati.
Ma queste scoperte non sono certo meno entusiasmanti. Tuttavia, visto che si tratta di opere artificiali, occorre stare particolarmente allerti a possibili smottamenti e crolli. Per non parlare delle scale e dei sostegni, spesso fatti in legno, che non destano particolare fiducia: non siamo in grotta!
Ma per esplorare questi ambienti, così simili ma allo stesso tempo diversi dalle grotte naturali, c’è bisogno di speleologi. Le tecniche speleologiche, con alcuni accorgimenti tipici degli specialisti dello studio delle cavità artificiali, sono le uniche ad essere in grado di portare l’essere umano dentro questi labirinti, per poterli documentare, rilevare e studiare opportunamente.

Marisa_ La ri-esplorazione di questi ambienti ti permette di ascoltare quelle che io chiamo “le memorie del buio”, memorie che parlano con molta chiarezza a chi le sa ascoltare.
Dal buio di questi ambienti emergono messaggi che parlano di tecnologia, di fatica, di paura, di lotte sociali… queste sono le cose che mi fanno preferire le cavità artificiali, le miniere in special modo, alle grotte naturali dove io non ascolto nulla, le mille voci che mi accompagnano nelle gallerie non ci sono.
A me non spinge il desiderio un po’ narcisistico, a parer mio, di essere la prima ad entrare in un luogo, il desiderio di percepire il significato di un luogo scavato dall’uomo per molteplici motivi; questo è, per me, il fascino delle cavità artificiali.
Nel volume di Matteo di Gioia ho sentito in molti punti vibrare queste corde e ho pensato che anche la sua passione e di quelli che lo accompagnano nasca dalla stessa attenzione ai particolari del passato che emergono in queste gallerie. Una scatoletta, una latta di olio arrugginita ci raccontano molte cose, spaccati di vita operaia di un mondo che non esiste più. Ri-esplorare gallerie minerarie abbandonate significa entrarein una biblioteca con volumi di argomento molto vario, come dicevo all’inizio, significa affidarsi a uomini del passato che riemergono attraverso le loro scritte, ai loro strumenti, ai resti dei loro pasti frugali che vanno collocati in un’epoca e contestualizzati ai loro modi di vivere per poterne trarre l’immagine di una società di lavoratori che, normalmente sfruttata dalle compagnie minerarie, coltivava un orgoglio professionale comune in tutte le parti del mondo.

Concludendo avete qualcosa da trasmettere all’autore, qualche suggerimento?
Jo_ il libro racconta la passione, le avventure, le notizie storiche, il background geologico, le vicende umane, la speleologia. Il tutto ben corredato da fotografie, ampie didascalie, box tematici, un glossario, con un inquadramento geologico e minerario curato da Dario Zampieri. Infine, QR code portano a vedere piccoli filmati che completano “l’esplorazione” di questi luoghi affascinanti e misteriosi. Senza dubbio un bel lavoro. Ma un consiglio lo voglio comunque dare: un libro di questa portata merita di essere corredato anche con il codice ISBN. Pensateci per il Volume 2!

Marisa_ Gli speleologi, hanno rilevato alcune miniere, presumibilmente quelle di cui non hanno ritrovato le mappe antiche; su questo punto mi permetto di dare loro un piccolo consiglio, nel prossimo volume, disegnate anche il contorno delle gallerie e dei vuoti di coltivazione che avete esplorato, renderete maggior giustizia alla struttura della miniera, la sola poligonale non riesce a descrivere il vuoto della montagna e a trasmettere al mondo di sopra le forme e i volumi scavati. Sarebbe importante corredare la pianta con una sezione o un’immagine tridimensionale dato che l’andamento verticale è preponderante nella forma della miniera data la morfologia del giacimento di tipo filoniano. Mi è piaciuto molto l’uso del QR-code per permettere ai lettori di vedere in diretta la ri-esplorazione. I filmati portano il lettore a camminare a fianco degli speleologi giorno dopo giorno sui fianchi della valle, con salite importanti lungo sentieri impervi, affardellati con le attrezzature speleo.

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