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Kanin: Rivadossi scala l’incredibile cascata di ghiaccio di oltre 300 metri all’interno del p.501 del Velb!

By Andrea Scatolini on aprile 29th, 2016

Kanin: scalata l’incredibile cascata di ghiaccio di oltre 300 metri all’interno del p.501 del Velb!

Il 24 aprile gli spelo-alpinisti Matteo Rivadossi, Luca Vallata ed Andrea Tocchini, accompagnati in grotta dai giovanissimi triestini dell’Associazione XXX Ottobre Alberto dal Maso, Leonardo Comelli e Sara Segantin che hanno curato logistica ed immagini, hanno firmato una prima mondiale d’eccezione nell’abisso Brezno Pod Velbon scalando, piccozze e ramponi, l’intera porzione ghiacciata del pozzo d’ingresso profondo ben 501 m!

il bivacco speleologico sloveno sull'altipiano carsico del Kanin
Luca Vallata sulla 4a lunghezza
Matteo Rivadossi all'ingresso di Velb, pozzo da 501m!
Matteo Rivadossi
Matteo Rivadossi sul sesto tiro del
Matteo. Luca ed Andrea, autoscatto all'uscita (2)

Velb-sezione


Il pozzone del Brezno Pod Velbom (per brevità Velb) è uno dei pozzi più profondi della terra; si apre a 2050m di quota ed è poco distante dall’altro colosso Vertiglavica che, con i suoi 643m, è record di profondità. Velb contiene al suo interno un’incredibile colata di ghiaccio di oltre 300m (nelle attuali condizioni da -55 a -360m). Durante l’inverno il pozzo risulta chiuso al terrazzo di-380m, fatto che costrinse più volte gli esploratori dell’abisso (che sfiora gli 800m) ad esporsi alle pericolose scariche estive…

La linea di salita presenta uno sviluppo di circa 350m divisi in 8 lunghezze. Ben 290m su ghiaccio verticale più 55m di dry del tratto d’uscita su roccia solo verglassata. La difficoltà è WI6 con passi di misto fino all’M5. Delicato e difficile il tiro che porta fuori gradato M7+, purtroppo salito top rope data l’improteggibilità (sarebbe servito un attrezzamento sistematico a spit).

Difficile ipotizzare se Velb diventerà una classica estrema, trattandosi di un vero e proprio abisso riservato agli speleologi più coraggiosi. Ma crediamo che questa scalata, che portata all’esterno sarebbe già di per sé una classica ambitissima, costituisca di fatto una prima mondiale assoluta.

Ecco le parole di uno dei protagonisti, Matteo “Pota” Rivadossi:

“Che viaggio! Concepito già nel marzo 2005 dalla fantasia malata del sottoscritto che l’aveva sognato nel corso di una ricognizione solitaria da cui ero uscito spaventato da condizioni ben diverse: ovunque spade sospese, stalattiti da 20-30m a rischio crollo e soprattutto il fatto che le sezioni ghiacciate fossero separate… Anche il rientro di 20 ore nella neve alle ascelle con bivacco inaspettato all’addiaccio fu parte dell’avventura: per me e mauri ma soprattutto per Superpippo vestito di cotone e scarpe antinfortunistiche…

Sì, sarebbe stato furbo tornarvi. Ne avevo accennato addirittura a Mauro “Bubu” Bole. Poi la cosa è caduta nel dimenticatoio di mille imprese. Vissute o solo sognate.
Inaspettatamente Velb a marzo di quest’anno ritorna tra gli incubi vividi, rianimato dall’entusiasmo di un gruppo di giovani speleo che, sedotti dalla promessa del “Si-può-fare!” dell’amico Rok l’incantatore, ci proveranno davvero con l’altruismo e la tenacia dei grandi.
Un primo bel tentativo tutto loro poi la gioia, tanta, di essere invitato al secondo. Quasi a riconoscermene la paternità. Vedi la vita?

Ed allora eccoci ancora qua, dal 23 al 25 aprile, we lungo e buono ma non per il tempo… Tra tanti dubbi, tante variabili da incastrare, dal meteo alle condizioni del ghiaccio che troveremo.
Dopo un avvicinamento infinito dal fondovalle sopra Bovec con zaini impossibili, per fortuna aiutati dai mitici Rok, Dejan e da quello sballato del Roli che scenderanno in giornata, la sera di sabato 23 arriviamo al bivacco speleologico sloveno. Una padella di neve per un tè e una per i tortellini poi a nanna. Si fa per dire, dormendo tre ore a notte e zeppo di troppi pensieri…

Sveglia alle 6, colazione poi si rifanno gli zaini: tra roba dimenticata e paranoie, 30-40 minuti di avvicinamento sotto un cielo violaceo che non promette niente di buono. Le raffiche di vento sparano cristalli di ghiaccio in faccia mentre ci prepariamo: assurdo mettersi addosso attrezzatura da cascata assieme a quella speleo! Goffi, con ramponi, casco con la Scurion, lampada, viti, maniglie, picche, radio e discensori vari come alberi di natale…
Alle 8 e mezza mi appendo alla prima fissa litigando con una GoPro che ovviamente non va: Alberto da giù ha il suo bel da fare per liberare le corde del primo tentativo di un mese fa inglobate nel ghiaccio. Alcune, impossibili, sono da doppiare. Il forte stillicidio intanto cola ovunque ricordandoci che il disgelo, malgrado il freddo di questo fine settimana, è ormai iniziato.
Attendiamo appesi ai frazionamenti bagnati già in discesa con l’imbragatura che strizza i fianchi: le sensazioni, mie e di tutti per tuta la discesa non sono certo positive…
Sotto di noi, a -120, il Velb si apre con un cilindro impressionante. Un vuoto costellato da enormi formazioni. Per fortuna le paurose stalattiti da 30m che ricordavo aver visto nel 2005 non ci sono più: di loro enormi tronconi sospesi. Case ed abeti di ghiaccio grigio scuro. Da brividi.
La colata che saliremo è come smaltata nella parte più coricata, più vicina alla linea delle fisse. Una goulotte in alto poi muro aperto sotto. Sono 280m praticamente verticali. Fortunatamente il ghiaccio mi pare più plastico di quello descrittomi da Luca che un mese fa ha fatto i primi 3 tiri battendo faticosamente del cemento trasparente! Per di più senza nessuno che gli desse il cambio, grande Lukic!

La cascata per soli 15m non arriva al terrazzone di -380: caz…, bisognerebbe avere il trapano per proteggere il tratto di misto! Per etica comodità decidiamo allora di iniziare a scalare da un terrazzino, l’unico, posto a -330m. Quando ci leghiamo finalmente sento esplodere dentro di me la positività tutta speleo di essere a casa mia. E per di più con le mie picche in mano!
Parte Luca sui primi due tiri che ben conosce. Bellissimi, articolati, bianchi e trasparenti, sospesi sul nero del nulla. Poi tocca a me che concatenerò il 3° e 4° in un tirone da 60 lisci lisci da uccidere i polpacci! Improperi vari e la frase “Pota sei un animale!” intanto echeggiano da sotto…
Recupero i compagni nella nicchietta scomoda di sosta. Non ce bisogno di chiedermelo, son già spiritato per il nuovo tiro, vergine, che dovrebbe essere il più difficile.

Murone verticale lucido, compattissimo. Salgo tanto veloce che Alberto al disarmo (che fa la spola beato con due-tre boiler sotto il culo) e Leo non riescono a riprendermi! Poi nicchia di neve incoerente seguita da un camino strapiombante, difficile da impostare, per di più sotto stillicidio: si rivelerà il passo chiave della salita. Ma sono in aria da non accorgermene, come fossi fuori a spiccozzare sul facile al sole!
Altro tiro per me, verticale ma ormai il pozzo stringe e diventa “speleologico”. Al ponte di roccia saluto Saretta, appesa stoicamente da ore ad illuminare! Sosta oltre un budello da 15m… Siamo a casa davvero, fantastico!

Sulla sesta bianchissima lunghezza parte Luca che dovrà spezzare il tiro per non uccidere me ed Andrea, visto cosa cade in quella sorta di imbuto in cui ci troviamo. Absciàaaa, ma che botte da orbi! Dal terrazzo di neve della sosta (la prima comoda!) il pozzo si erge di nuovo bellissimo ed aereo: Luca con plastica spaccata raggiunge il muretto finale in traverso fino alla fine del ghiaccio a -55m. Nella penombra irreale dell’uscita Leo si scatena con le ultime immagini.
Il tratto superiore fino ad uscire è rivestito di solo verglass. Un centimetro in media, su roccia compatta ed improteggibile che avrebbe necessitato un attrezzamento sistematico con una quindicina di tasselli. A dissuadermi cade pure una cariolata di neve, se non bastasse l’intenso stillicidio. Decido comunque di provare il tiro con la corda dall’alto salendo praticamente fino a fuori. Durissimo, direi M7+/M8, ma fattibile. Peccato!

Quando io, Andrea e Luca usciamo, Alberto, Sara e Leo son già scappati bagnati fradici nella bufera. Giusto il tempo di un “selfie”, di due pacche sulle spalle buttando tutto alla rinfusa negli zaini. Poi seguiremo le tracce in parte già coperte verso un bivacco che non arriva mai.
Ecco la sagoma tra le raffiche! Entro per ultimo a festa già iniziata.
Ormai è davvero fatta: la gioia di tutti è la prova di qualcosa di grande lasciata alle spalle. Gnari, siete stati tutti fantastici! Il resto saranno 24 lattine di birra scovate in un bidone, un couscous delizioso ingoiato con le gambe nei sacchi a pelo alla faccia dei -2° all’interno, di una bufera urlante sulle lamiere fuori e del massacrante rientro dell’indomani…

Il resto ve lo racconteremo di persona…” Pota

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