Articolo uscito sul quotidiano RINASCITA, il 28 settembre 2008

di Gianluca Padovan

Sempre meno interessati al reale, in questi primi anni del XXI secolo ci trasciniamo in città che vanno assumendo l’aspetto di megalopoli, erroneamente convinti di avere compreso tutto o quasi del passato, ma ignorando quanto poco sappiamo persino del presente. Due cose mi fanno riflettere: la fame di novità e la curiosità per il cosiddetto “mondo sotterraneo”. Emittenti nazionali ed estere trasmettono sempre più spesso reportages sul sottosuolo dei centri urbani e nulla scatena le fantasie fanciullesche, nel bimbo che in noi è sopito, come le storie che ne parlano. Meglio ancora se hanno il sapore del “passaggio segreto”, della “tomba misteriosa” o del bunker pieno di scheletri.
Sopra si corre, sotto si cammina cautamente, talvolta si striscia o ci si cala con le corde. Sotto abbiamo gallerie, cunicoli e “spazi” non meglio identificati, tutti indistintamente ignorati, ma percorribili. Tempo e voglia permettendo possiamo esplorare acquedotti che funzionano ancora dopo secoli e senza alcuna manutenzione, antiche reti di fognature, enormi cave di pietra i cui vuoti possono contenere palazzi di sei piani, cripte, rifugi antiaerei dell’ultima guerra… . Sono le architetture lasciate dai nostri predecessori, silenti monumenti di un differente stile di vita, di un mondo ipogeo che pensiamo non esista. Sbagliando.
Le architetture realizzate nel sottosuolo fanno parte della nostra interpretazione del reale, del nostro modo di concepire lo sviluppo di un insediamento e dei sistemi che ne consentono la vita in ogni suo aspetto, in funzione dello spazio a disposizione. L’architettura è un linguaggio, una convenzione di segni. L’utilizzo delle forme della natura e delle sue risorse danno luogo ad una serie di sotterranei rispondenti alle molteplici richieste di una societas. Oggi li chiamiamo “sottoservizi” e sono la risultante di un processo evolutivo che va indagato per essere capito. Le opere del passato parlano a noi, ci comunicano delle informazioni come la tecnologia dell’epoca, ispirano sentimenti, possiedono un linguaggio proprio. Pochi si sono preoccupati di ascoltarlo, di percorrerlo per renderlo leggibile, anche per trarne una materia di studio.
Metaforicamente parlando, sotto di noi si nasconde il nostro passato. E se lo scavo archeologico sfoglia, per così dire, a ritroso il depositarsi del tempo e delle tracce dell’Uomo, un pertugio che dà accesso ad un vero e proprio labirinto di gallerie da solo ci fornisce l’esempio di una struttura più o meno antica, perfettamente leggibile e quindi studiabile. La sua esplorazione può lasciare persino il gusto dell’avventura, se condotta con criterio e badando alla propria incolumità.
Alcuni anni fa è nata l’Archeologia del Sottosuolo. Si occupa della ricerca e dello studio delle opere ipogee, ovvero delle architetture del sottosuolo, o semplicemente dei sotterranei. Innanzitutto si è provveduto al catalogo degli ipogei, suddiviso in base alla loro funzione. Abbiano così opere di estrazione come le cave e le miniere, opere idrauliche come gli acquedotti, i pozzi, le cisterne e le fognature, opere d’inumazione, opere religiose, civili, militari e quelle sconosciute, ovvero di cui non se ne conosce l’utilizzo. Utilmente si può consultare il sito internet: www.milanosotterranea.com.
Quelle che destano maggiore interesse, almeno in ambito speleologico, sono le opere idrauliche, che per l’esplorazione e la documentazione richiedono l’applicazione di tecniche speleologiche e speleosubacquee. Non si può negare come l’acqua, oltre ad essere una primaria necessità, abbia esercitato in passato un certo fascino, legando ad essa numerosi culti. E noi, oggi, ne siamo quasi misteriosamente “attirati”. Circa trecento chilometri di acquedotti servivano la Roma imperiale: due terzi del percorso avveniva nel sottosuolo. L’acquedotto d’epoca romana di Bologna ha uno sviluppo di circa venti chilometri, tutti sotterranei dalle fonti alla città; parte del suo tracciato è utilizzato dal moderno acquedotto e ciò ne ha consentito innanzitutto l’indagine. Ma, prima dei romani, etruschi e greci costruirono acquedotti sotterranei, come ad esempio l’acquedotto con tratti ipogei e tutt’oggi visibile e visitabile sull’isola di Samo e inquadrato al VI sec. avanti l’anno zero.
Nello studio degli acquedotti occorre sgomberare il campo da alcuni “miti”, come quello dell’acquedotto più antico che genera tutti i successivi. Di per sé una ricerca così impostata è ascientifica. In primo luogo, entrando all’interno di un’opera cunicolare, non è così immediato capire se si tratti o meno di acquedotto. In secondo luogo l’eventuale acquedotto va datato, ma ciò è tutt’altro che semplice, soprattutto in assenza di veritiere e circostanziate fonti scritte. La nostra ricerca scientifica è affetta dalla cronica penuria di denaro, nonché di tempo, con il risultato che ben pochi acquedotti scavati interamente a mano sono stati interamente studiati e i risultati pubblicati. In diverse regioni mediorientali e orientali esistono acquedotti ipogei che per vari motivi vengono definiti “antichissimi”. Occorre dimostrarlo. In quest’ultimo decennio taluni ricercatori sono stati in Iran, in Iraq, nel Turpan (Xinjiang – Cina) e qualcuno asserisce che quelli del Turpan, essendo più “antichi” e verosimilmente scavati dai cinesi, sono i progenitori degli altri. Tutto ciò potrebbe essere tranquillamente vero, ma occorre provarlo.
A questo punto bisogna spendere due parole in più e passare ad una tipologia diffusissima in ogni angolo del mondo: la tomba. È il termine generico con cui s’indica qualsiasi tipo di sepoltura, in cui vengono deposti i resti mortali (ceneri, ossa o cadavere). Nel bacino del Tarim, nella regione del Xinjiang (Cina), dalla fine degli anni Settanta del XX secolo si sono portate alla luce numerose tombe contenenti i corpi essiccati naturalmente e abbigliati con vesti colorate, calzoni, calzature e copricapi. Appartenenti a differenti periodi storici, risalirebbero a partire dai 2000 fino ai 4000 anni fa. La loro caratteristica è di essere di pelle bianca ed avere i capelli chiari. In particolare: «Settanta chilometri ad ovest del letto prosciugato del lago di Lop Nor, lungo il fiume Könch Darya (chiamato in mandarino Kong-que he, “Fiume del Pavone”), lo scavo di 42 tombe ha portato alla luce 18 crani, riferibili, sulla base della tipologia delle tombe, a due diverse serie, una più antica e una più recente. I crani sono chiaramente europoidi (dolicocefali) e strettamente somiglianti ad un tipo proto-europeo, con qualche tratto nordico. La serie di tombe più antiche si trova al centro di 7 cerchi concentrici di pali di legno piantati verticalmente, con altri pali posti a raggiera rivolti verso le quattro direzioni cardinali. Gli individui rinvenuti in queste tombe somigliavano al tipo Afanasievo (cultura risalente al terzo millennio circa e parallela alla tarda cultura proto-indoeuropea conosciuta come Yamna [ca. 3500-2500]) che è stato trovato anche nelle steppe della Siberia meridionale e del Kazakstan e lungo il basso corso del Volga» 1. Oltre alla presenza di oggetti in bronzo, archi compositi e fors’anche balestre, i tessuti si sono rivelati interessanti e un frammento è stato datato al 1200 a.: «I fili blu, bianchi e marroni danno origine a un bel motivo, incontestabilmente di tipo plaid. Si tratta di un’armatura diagonale 2.2 molto simile a quelle trovate in Europa nel periodo Hallstatt (iniziato nel 1100 a.C. circa e terminato attorno al 500 a.C.). Quindi i tessuti di Hami corrispondono all’incirca ai primi tessuti in diagonale provenienti dalle miniere di sale del periodo Hallstatt in Germania e in Austria. Stando alle nostre attuali conoscenze sulla storia della tessitura, questo tipo di tessuti è tipicamente europeo» 2.Sull’argomento si può consultare il volume “The Tarim Mummies”, contenente la riproduzione grafica e fotografica di tombe, oggetti di corredo e corpi 3.
A questo punto, sorge lecita la domanda: sarà possibile che gli acquedotti del Turpan non siano “cinesi” e che in Asia molte forme di cultura provengano in realtà dal nostro vecchio occidente? Personalmente non credo a priori e acriticamente al vecchio adagio che vuole la “luce” proveniente dall’Oriente. In conclusione, ciò che in realtà interessa è documentare e capire il mondo sotterraneo, perchè ci darà nuove informazioni su chi siamo, da dove veniamo e dove siamo andati, ricordando che la vera cultura che rimane nel tempo è quella legata alla Terra e non già a forme di sviluppo e di pensiero intangibili. Siamo poi sicuri di ben interpretare i segni del passato, rimanendo scevri da religioni, suggestioni, mode, correnti politiche e partitiche? Oppure occorrerà mettersi una mano sulla coscienza e calzare gli abiti dello speleologo per andare a rivedere il nostro passato?

NOTE
1 Mair V. H., I corpi essiccati di popolazioni caucasoidi dell’età del Bronzo e del Ferro rinvenuti nel bacino del Tarim (Cina), in Cadonna A., Lanciotti L., Cina e Iran da Alessandro Magno alla Dinastia Tang, Atti dell’Incontro Internazionale di Studi (Venezia, 7-8 novembre 1994), Leo S. Olschki Editore, Firenze 1996, pp. 10-11.
2 Ibidem, pp. 14-15.
3 Mallory J. P., Mair V. H., The Tarim Mummies. Ancient China and the Mystery of Earliest Peoples from the West, Thames & Hudson, London 2000.

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