L’intervento di Maria Grazia Lobba a cui pochissimi hanno assistito (si è svolto a Genga) e che forse valeva la pena sentire, direttamente dalla “penna” di MG:
SPELEOLOGI, GROTTE TURISTICHE E GROTTE CHIUSE
(di Maria Grazia Lobba)
 
 
Riassunto: Questa relazione illustra il rapporto esistente tra speleologi, grotte turistiche e grotte chiuse. Fotografa,  con una serie di notizie abbastanza attendibili,  la situazione di alcune cavità che, sia per valorizzazione turistica, sia per tutela archeologica, sia per salvaguardia ambientale, oppure per diversi altri motivi, risultano non liberamente accessibili all’esplorazione ed allo studio speleologico.
Viene messo in risalto, in particolare, lo stato dell’ambiente delle cavità censite, al fine di capire quanto la valorizzazione turistica possa compromettere l’integrità dei luoghi.
 
Abstract : The aim of this paper is to show  the existing relationship between cavers, the tourist cavities and the closed cavities. This relation shows with some news,  still partial, the situation of some cavities that, for tourist valorization, archaeological protection, conservation, or other, they are not accessible to the caver’s exploration and study. It highlights in particular, the state of environment of the cavities, to the aim to understand how much the tourist valorization can compromise integrity of the places.
 
PREMESSA
Questa raccolta di dati, fatta con la collaborazione di moltissimi speleologi, attraverso ricerca bibliografica, , e da ricerca via internet, non è, innanzi tutto, esaustiva (fare un censimento delle grotte chiuse vuol dire reperire capillarmente notizie certe) non vuole inoltre essere uno studio scientifico dell’ambiente (troppe incognite rendono ancora incerto esprimersi sull’impatto  di passerelle, cemento, griglie, corrimano, illuminazioni e quant’altro costituisce il bagaglio di una grotta turistica sia in funzione che dimessa) bensì intende fotografare una situazione di fatto esistente e ancora non censita.
Serve, allora, una premessa: volutamente non sono state inserite nei prospetti, le grotte cosiddette “turistiche” ma liberamente accessibili, con attrezzature all’interno (mi riferisco a grotte come Rio Martino o Buso della Rana) perché rientrano, semmai, nelle “speleo-turistiche”, né sono state inserite le grotte non chiuse ma difficilmente accessibili, causa l’ostilità dei  proprietari di terreno o di delibere delle amministrazioni comunali (com’è noto la legislazione esistente in Italia considera l’ingresso della grotta di proprietà del terreno nel quale si apre). Tale premessa si rende necessaria in quanto queste grotte risultano essere di numero considerevole.
 
Uno sguardo complessivo
Da una veloce esamina dell’elenco allegato si osserva che:
le grotte turistiche in funzione sono 77, le dimesse 8, quelle chiuse 609, rispetto ad un totale delle cavità censite in Italia di circa 32.000.
Sembrerebbe, a prima vista, che le grotte chiuse e le grotte turistiche rivestano un aspetto marginale per l’attività speleologica, ed in parte è così, lo speleologo continua, comunque, a lavorare, laddove non ci sono impedimenti di sorta al suo operato di esplorazione, studio e ricerca.
 
 
Grotte turistiche
Le grotte turistiche ( 77 effettive in Italia) sono, in qualche modo, una sorta di “patologia” rispetto alla speleologia pura, che si occupa di cavità liberamente accessibili.
La quasi totalità delle grotte turistiche sono per lo speleologo, chiuse, per accedervi occorre chiedere il permesso all’ente gestore; unica interessante eccezione: le grotte siciliane inserite nelle riserve. Tali grotte, infatti (che non contengono all’interno alcuna attrezzatura turistica, passerelle, illuminazioni od altro), vengono prima di tutto tutelate e, secondariamente,  il CAI e la Legambiente, che le gestiscono, permettono visite guidate gratuite per non speleologi, finalizzate, principalmente, all’educazione e conoscenza dell’ambiente carsico.
Gli speleologi, inoltre,  possono liberamente accedervi, previo rilascio di nullaosta e previa utilizzazione di impianto di illuminazione elettrico e non a carburo, per evitare possibili ripercussioni sull’ambiente di grotta.
Si può quindi affermare, alla luce della documentazione raccolta, che le grotte turistiche siciliane offrono un esempio di ottimo rapporto gestori, speleologi, turisti.
Per tutte le altre grotte valorizzate turisticamente, invece, vale un discorso diverso, le amministrazioni ed i gestori le considerano proprie e mal sopportano l’ingerenza degli speleologi, come, generalmente, non sopportano archeologi o ambientalisti, che pongono vincoli alla loro libertà di gestire, senza alcun tipo di impedimento, beni di loro pertinenza.
Perché vengono “valorizzate” le grotte? Principalmente per motivi economici. Un progetto di valorizzazione turistica viene finanziato con i fondi europei, o con fondi regionali, il comune non paga di tasca propria, per cui, a fronte di moneta sonante subito disponibile, viene promesso alla popolazione comunale (che non paga direttamente, semmai paghiamo tutti) nuovi posti di lavoro (guide) ed un indotto derivante dall’apertura al turismo di una zona, a volte depressa. Questo dovrebbe, in teoria, comportare come riscontro voti ai lungimiranti amministratori. Bisogna, a questo punto, conoscere se, effettivamente, la valorizzazione turistica, fatta attraverso lo snaturamento di un ambiente naturale (non come le grotte siciliane di cui sopra, ma con devastanti opere quali piazzali esterni, botteghini, tunnel, cemento, passerelle, illuminazione), abbia effettivamente tali riscontri e se davvero ne vale la pena (un bene naturale integro è monetizzabile?).
Gli speleologi, nell’indicare le grotte turistiche, hanno raccontato, nel contempo, tanti esempi di devastazioni all’ambiente ipogeo, dalla grotta di  val dei varri, alle grotte di capo palinuro, alla grotta del trullo di Putignano, alle grotte verdi di Pradis, e tanti altri ne hanno evidenziati sulle grotte turistiche dimesse, per cui paventano, sempre, l’apertura di altre grotte al turismo.
 
Grotte turistiche dismesse
Le grotte turistiche dimesse sono complessivamente 8: grotta dei dossi e grotta del caudano in Piemonte, grotta del remeron in Lombardia, grotta della madonna in Liguria, grotta delle torri di slivia in Friuli V.G.,  grotta di Scala in Campania, grotta di Montevicoli in Puglia e grotta Monello in Sicilia. Alcune di esse sono liberamente accessibili e conservano ancora, all’interno, tutta l’attrezzatura che è stata necessaria alla loro valorizzazione turistica (passerelle, impianto di illuminazione, cemento) in via di disfacimento, tenuto conto che non c’è attualmente nessuna norma vigente che imponga per le grotte il ripristino dello stato dei luoghi.
Si osserva, al riguardo, che mentre aumenta la richiesta di valorizzazione turistica, non esiste, tuttavia, la sensibilità ambientale, da parte delle amministrazioni, per ipotizzare un ripristino delle situazioni ante turismo e queste grotte vengono semplicemente “dimenticate” .
La SSI, in proposito, ha preparato una carta etica delle grotte turistiche, che prevede, tra l’altro, che una parte degli utili di gestione, provenienti dallo sfruttamento del bene naturale carsico, debba  essere investito nella ricerca ed in opere di salvaguardia ambientale.
Tale fondo,  quindi, dovrebbe essere utilizzato anche per il ripristino dello stato dei luoghi, una volta cessata la gestione turistica della cavità.
 
Le grotte chiuse
Motivi per cui le grotte vengono chiuse:
–           149 (22%) cavità risultano chiuse per motivi di “tutela ambientale” della grotta dai visitatori occasionali, in qualche caso anche nei confronti di speleologi di altri gruppi. Fanno parte di questo numero, anche le grotte che vengono chiuse dai proprietari ostili. La chiusura per motivi di tutela (come la chiusura per motivi di sicurezza), di solito realizzata dagli stessi speleologi che stanno lavorando nella cavità, viene generalmente disposta mettendo però a disposizione di altri speleologi la chiave d’accesso, come avviene, ad esempio, nel caso della grotta di Su Palu a Urzulei (NU);
–           103 (16 %) cavità sono state chiuse per tutela archeologica o perché inserite in luoghi di culto (n.44, pari al 7%). Innumerevoli cavità, infatti,  sono state utilizzate dall’uomo o da animali come riparo dal paleolitico in poi, altrettante come tana da animali  e frequente risulta il ritrovamento di ossa; solo alcune di queste però sono state chiuse. In questo caso la valorizzazione turistica diventa un ottimo strumento per portare a  conoscenza del  pubblico, un patrimonio eccezionale, come nel caso della grotta di Ernesto a Grigno (TN), della grotta delle Conturines a Corvara in Val Badia (BZ), della grotta dei Balzi Rossi a Ventimiglia (IM), delle grotte di Toirano (SV), della grotta Guattari a S.Felice Circeo (LT);
–           57 ( 9%) cavità sono state chiuse perché usate per la captazione d’acqua; per cui impedirne l’accesso, anche agli stessi speleologi, diventa indispensabile, vista la necessità di evitare inquinamenti all’acqua potabile. In tal caso un bell’esempio di collaborazione amministratori  – speleologi è quella raccontata dal Gruppo Speleologico SAT Arco su “Natura Alpina” (n.1 anno 1983) quando, in relazione alla manutenzione della centrale idroelettrica, è stato permesso agli speleologi il proseguimento dell’esplorazione della cavità “1100 ai Gaggi”. Alcune amministrazioni comunali trentine inoltre, recentemente si sono avvalse proprio degli speleologi (ed in particolare del Gruppo Speleologico SAT Arco), per fare diversi lavori e verificare le cause degli abbassamenti idrici in grotte – sorgenti, permettendo, quindi, ulteriori esplorazioni in tali cavità. Si conferma, così, in questa regione, il buon rapporto di alcune  amministrazioni, e consorzi, con i gruppi speleologici,  finalizzato al corretto uso della risorsa idrica;
–           n. 96 ( 14%) grotte sono state chiuse perché considerate pericolose, al fine di  impedirne l’accesso ad incauti escursionisti. Qualche volta è il Comune che provvede alla chiusura di una cavità, per non incorrere nella responsabilità ex art. 2043 ed ex art. 2051 del codice civile, tenuto conto che vige il principio secondo cui “anche la pubblica amministrazione incontra, nell’esercizio del suo potere discrezionale nella vigilanza e controllo dei beni demaniali, tutti i limiti derivanti dalle norme della comune prudenza e diligenza ed, in particolare, della norma primaria e fondamentale del neminem laedere, che impone all’ente pubblico di segnalare agli utenti le situazioni di pericolo che sono note” (vedi in proposito la sentenza del Tribunale di Roma del 12.1.2001, che ha condannato il Comune di Bellegra al risarcimento dei danni occorsi ad un escursionista che si era avventurato nella grotta dell’arco, rimanendovi paralizzato dopo una caduta accidentale).
–           Un discorso a parte, invece, dev’essere fatto per le ben 105 (16%) grotte in miniera della Sardegna, che rientrano ora nel Parco Geominerario, di recente istituzione (16.10.2001).
Il Parco Geominerario, Storico ed Ambientale della Sardegna, sostenuto dall’Unesco, dovrebbe, tra l’altro, salvaguardare anche  le grotte in miniera, le quali presentano elementi di eccezionale interesse speleogenetico e minerogenetico.
Tali grotte risultavano attualmente minacciate dall’abbandono dell’attività estrattiva, tenuto conto che la cessazione dell’emungizione dell’acqua dalle gallerie minerarie più profonde, ha comportato l’allagamento di parecchie cavità di rilevante interesse scientifico.
Non solo, la chiusura definitiva delle miniere, con il sigillamento di tutti gli accessi (secondo quanto previsto dalle norme vigenti), comporta l’impossibilità della frequentazione da parte degli speleologi, mirata allo studio ed all’esplorazione delle grotte in miniera, infine,  la muratura delle gallerie mette in serio rischio le colonie di pipistrelli ivi presenti. (Antheo n.7 dic.2003 pag.47, 48).
Attualmente l’accesso degli speleologi in tali grotte è disciplinato da una convenzione che fa riferimento ad un programma di ricerche scientifiche; ed è , comunque, garantito da IGEA S.p.A. che detiene ancora il titolo minerario in quanto concessionario ai sensi del codice di polizia mineraria.
 
Considerazioni finali
I prospetti allegati contengono parecchie considerazioni sulle grotte chiuse fatte da speleologi che le conoscono, circa:
– la necessità di tutelare l’ambiente grotta;
– i danni provocati dall’indiscriminato utilizzo delle cavità, principalmente a scopo turistico;
– l’importanza di poter accedere alle grotte chiuse, perché interessanti dal punto di vista esplorativo.
Questi commenti  toccano in realtà punti dolenti.
Da una parte c’è l’esigenza, nello speleologo, di  tutelare l’ambiente grotta, tant’è che si fa, spesso e volentieri, promotore di operazioni di pulizia di cavità;  dall’altra parte esiste, anche, la mal sopportazione di fronte alla chiusura di una grotta e, ancora di più, di fronte alla valorizzazione turistica della stessa, di solito attuata senza un minimo confronto con i gruppi  speleologici che in quella cavità hanno lavorato o stanno lavorandoci.
Attualmente diversi studi in corso, portati avanti dagli stessi speleologi, sono indirizzati alla comprensione e alla valutazione del danno effettivo provocato alla grotta da una valorizzazione turistica o dalla presenza di attrezzature fatiscenti nelle grotte dimesse.
La Società Speleologica Italiana, in proposito, ha redatto un documento finalizzato alla corretta fruizione degli ambienti carsici ed all’adattamento turistico delle grotte “la carta etica delle grotte turistiche” nel quale viene precisato che (punto 4): “la conservazione del bene naturale deve essere anteposta ad ogni altra considerazione di carattere economico nella gestione del bene turistico speleologico”.
In ogni caso è indispensabile che il mondo speleologico venga sempre  interpellato laddove esiste l’ipotesi di una valorizzazione turistica, per esprimere, in quanto esperto in materia, la propria opinione o, nella migliore delle ipotesi, per fornire il proprio contributo, anche solo attraverso studi sul monitoraggio ambientale, al fine di scongiurare pesanti e dannosi interventi.
Esiste, tuttavia, una fetta di mondo speleologico che, invece, vede nelle grotte turistiche, se gestite direttamente, ma anche se date in gestione, un’occasione di lavoro e sviluppo, sia per il gruppo stesso che per il territorio limitrofo, ed, altresì, che  non è totalmente contrario alla valorizzazione turistica, finalizzata alla conoscenza per tutti dell’ambiente carsico ipogeo, conosciuto, viceversa solo  da pochi fortunati (vedi in proposito la relazione di Lucia Braida sulla grotta turistica di Villanova).
Bisogna ammettere che, comunque, buona parte degli speleologi è in genere contraria alla valorizzazione turistica di una grotta.
Cerchiamo di analizzare il perché e se, tale posizione, sia effettivamente giustificata.
Per capire tale posizione occorre domandarsi:  chi è lo speleologo?
L’uomo nasce curioso, per questa curiosità va ad esplorare ogni ambiente, indipendentemente dall’accessibilità e dall’ostilità dello stesso.
Quindi, per prima cosa, lo speleologo è esploratore.
Il passo successivo è la ricerca e subito dopo lo studio.
Lo speleologo diventa presto studioso dell’ambiente che esplora in quanto, prima di tutto, lo rileva e, successivamente, ne racconta ad altri, con relazioni che ne illustrano (avendoli ricercati) la genesi, l’habitat, chi ci ha vissuto e chi ci vive.
Per questo  considera la grotta “sua” perché l’ha vissuta, esplorata, studiata.
Effettivamente gli speleologi sono, a tutti gli effetti, i migliori conoscitori degli ambienti ipogei carsici.
Per diventare speleologi, infatti, non basta mettersi il casco in testa ed andare, ma serve sempre, come premessa, aver frequentato una scuola di speleologia, con corsi che, al di là della tecnica, insegnano parimenti  la geologia, il rilievo, la tutela ambientale, le ricerche paleontologiche e paletnologiche e quant’altro abbia attinenza con l’ambiente carsico.
Per cui è proprio grazie allo speleologo che adesso si possono percorrere le grotte turistiche e che si sono potute effettuare importanti ricerche archeologiche e biologiche, trovando nuove specie di animali in zone ancora integre a causa della difficile percorrenza.
Attualmente però, mentre tutta la popolazione speleologica si sta rendendo sempre più conto, adeguandosi di conseguenza, di quanto può essere alterato l’ambiente grotta dalla frequentazione nella medesima, lo stesso non sta succedendo per il resto dell’umana popolazione.
Si osserva, infatti (ed i prospetti allegati lo dimostrano), che c’è un effettivo interesse a valorizzare turisticamente le grotte e ad ampliarne la parte visitabile al grande pubblico, per quelle già esistenti, senza peraltro giustificare adeguatamente tale interesse se non con il mero riscontro economico.
Quello che sta succedendo è che aumentano le ipotesi di valorizzazione turistica di cavità e, contemporaneamente, vengono posti sempre più limiti a chi nelle grotte ci lavora, apportando un patrimonio di conoscenza non indifferente.
Risulta, quindi, evidente che è necessario tutelare le grotte, impedendo il proliferare della valorizzazione turistica la quale, di fatto – ancorché disposta tramite ogni possibile valutazione d’impatto ambientale e/o  monitoraggi – snatura un habitat unico per le sue  caratteristiche di inaccessibilità, assenza di luce, calore, ecc., al fine di renderlo “domestico”. Si creano, infatti, piazzali al posto di prati, si realizzato infrastrutture quali biglietterie, chioschi, servizi igienici, si allargano ingressi, si realizzano gallerie artificiali – per prima cosa – e poi vengono inseriti, in ambiente integro, manufatti del tutto estranei, quali passerelle, cemento, luci, ecc. ; infine, viene modificata  l’atmosfera ipogea, a causa dell’afflusso di persone.
Conseguenza di ciò è l’alterazione  certa di una nicchia ecologia, sicuramente dannosa, in primo luogo, alla fauna ipogea, a volte microscopica, ma non meno interessante dal punto di vista scientifico.
Risulta, parimenti, indispensabile, oltre alla tutela delle cavità, anche la tutela della figura dello  speleologo, nella sua veste di esploratore, studioso e, non ultimo,  di difensore dell’ambiente carsico, spesso, invece, malvisto e poco sopportato sia dai proprietari delle grotte, sia dai gestori di grotte turistiche, sia dai Comuni.
E proprio le amministrazioni pubbliche dovrebbero, invece, privilegiare la figura dello speleologo, tenuto conto che solo tale figura  è in grado di  conoscere a fondo e toccare con mano le problematiche connesse al  patrimonio carsico, che costituisce oltre un terzo del territorio italiano, e che fornisce oltre il 40% delle risorse idriche ad uso potabile.
Premessa necessaria ad una valorizzazione turistica, quindi, è un serio confronto tra mondo speleologico (SSI, Federazioni Speleologiche Regionali e Gruppi Speleologici) e amministrazioni, laddove si faccia un’analisi di costi – benefici, compresi gli effettivi ricavi, ed, in ogni caso, si ponga, quale indispensabile presupposto, un monitoraggio ambientale.
Il prospetto allegato dimostra, peraltro,  che le grotte turistiche presenti in Italia sono più che  sufficienti per garantire a tutti la conoscenza dell’ambiente ipogeo, e che, pertanto, non è assolutamente necessario né rendere turistiche altre cavità  né ampliare altri percorsi oltre a quelli già esistenti.
Sappiamo benissimo che, sotto il pretesto di una valorizzazione turistica, si cela in realtà l’interesse economico di alcuni Comuni ad accedere ai fondi europei, com’è capitato per la grotta dell’arco di Bellegra, resa turistica da un’amministrazione, grazie ai fondi europei,  ma attualmente non ancora aperta perché i successivi amministratori, avendo ricevuto ulteriori finanziamenti dalla Regione e ancora dalla C.E.,  stanno ampliando con nuovi  lavori la pretesa “valorizzazione turistica” della cavità.
Ben altro dev’essere, invece, l’interesse che suscita una grotta.
La valorizzazione turistica di una grotta non deve nascere con l’ottica di trarre guadagno sempre e comunque da un bene naturale (che, in quanto “bene” è già ripagato dalla sua stessa esistenza) né per soddisfare  l’appetito della folla di cose straordinarie, permettendo l’accesso nelle grotte a tutti  attraverso comodi percorsi, bastante una riproduzione in stile “gardland” a questo.
Per conoscere  una grotta è necessario, invece, apprezzarla proprio per la sua peculiarità di ambiente ostile, buio, freddo, scomodo, e difficile; solo lo speleologo, quindi, in quanto animale “troglofilo” , è in grado di comprendere tale concetto e di insegnarlo ad altri.
Per questo tutti i gruppi speleologici, nella loro attività annuale,  inseriscono sempre uscite finalizzate alla visita di semplici cavità per i simpatizzanti,  solitamente gratuite.
Tutti i gruppi speleologici, infine, prevedono, annualmente, corsi di introduzione alla speleologia,  unico valido mezzo per avere un vero accesso speleologico all’ambiente carsico.
 
Ringraziamenti: Graziano Ferrari (Lombardia ed altre regioni), Mauro Villani (Sardegna), Luca De Bortoli (Veneto e Trentino), Lucia Braida (Friuli Venezia Giulia) , Marco Vattano (Sicilia), Rinaldo Massucco(Liguria), Roberto Chiesa (Liguria), Siria Panichi (Toscana), Susanna Martinuzzi e Barbara Grillo (Friuli Venezia Giulia), Tullio Dobosz (Lazio ed Abruzzo), Mauro Mucedda (Sardegna), Michele Zandonati (Trentino), Claudio Schiavon (Friuli Venezia Giulia), Luca Girelli (Umbria), Carmine Marotta (Basilicata), Andrea Scatolini (Umbria), Francesco Maurano (Campania),  Daniela Lovece (Puglia), Michele Sivelli (Emilia Romagna), Giorgio Pannuzzo (Lombardia), Gianni Ledda (Toscana), Giuseppe Moro “Mayo” (Friuli Venezia Giulia),  Maria Luisa Perissinotto (Veneto), Odoardo Papalini (Toscana), Claudio Giudici (Lazio, Toscana), Carlo Marcheggiani (Lazio),  Roberto Maugeri (Sicilia), Francesca Bonci (Marche), Andrea Blancato (Friuli Venezia Giulia), Sergio Dambrosi (Friuli Venezia Giulia), Alberto Remoto (Liguria), Simone Bertelli (Toscana), Omar Pacchioni(Liguria) , Giorgio Annichini (Veneto),  Francesco Nozzoli (Sicilia), Lorenzo Grassi (Lazio, Campania), Andrea Bonucci (Lazio), Gianni Mecchia (Lazio, Abruzzo, Campania), Michele Pazzini (Liguria), Alberto Buzio (Lombardia), Andrea Gaviano (Sardegna), Italo Giulivo (Campania), Enzo Pascali (Puglia), Andrea Maconi (Lombardia),  Alfredo Campagnoli (Marche), Giancarlo (GS Malo),Carlo Zoccoli (Umbria), Massimo Mancini (Molise), Alfonso Pumo (Emilia Romagna), Alberto Riva (Veneto), Marina Zerbato (Piemonte), Giuseppe “Pino” Antonini (Marche), Cesare Raumer (Veneto), Gianpaolo Fornasier (Friuli Venezia Giulia), Daniele Sottocorno (Lombardia), Carlo Gatti (Umbria), Marco Ischia (Trentino), Paolo Testa (Piemonte), Antonello Cossu (Sardegna), Giovanni Badino, Carlo Germani, Mauro Chiesi, Angelo Gagliardi (foto), Massimo Izzo (foto)
 
Bibliografia:
A. Buzio M.Filippazzi “grotte e abissi della Lombardia” Novara 1992
C.Balbiano D’Aramengo Associazione Gruppi Speleologici Piemontesi “Le grotte del Piemonte” Cassolnuovo 1993
Giuliano Villa Associazione Gruppi Speleologici Piemontesi “ Speleologia del Piemonte e Valle d’Aosta” Torino 1999
F.La Rocca “Le grotte della Calabria” Martina Franca 1991
C.Fusilli P.Giuliani Gruppo Speleo Dauno “Guida alla speleologia nel Gargano” Foggia 1998
P.Mietto U.Sauro “Le grotte del Veneto” Venezia 1989
G. e M.Mecchia, M.Piro, M. Barbati “le grotte del Lazio” Roma 2003
R.Bixio SSI “Le nostre grotte guida speleologia Ligure” Genova 1987
 

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