La scia nera degli speleosub morti si allunga inesorabilmente: Il 22 luglio erano morti un istruttore e un allievo in Sud Africa, il 25 luglio è morto uno speleosub in Francia. Un’estate terribile per il nostro ambiente; il 10 luglio è morto un russo in una grotta ungherese, il 20 giugno un esperto speleologo francese è morto precipitando in un pozzo di 300 metri, a Cuneo il 20 luglio un giovane parroco è morto cadendo in una grotta.
Si tratta di casi completamente diversi tra loro, si va dal turista incauto all’esperto speleosub, certo è che in questi anni non ho mai ricordato una così alta concentrazione di incidenti mortali.
Il pericolo cammina fianco a fianco agli speleosub, costretti a vincere una doppia, tripla, quadrupla costrizione: i normali pericoli di una grotta si ingigantiscono e si moltiplicano a causa dei noti vincoli delle immersioni: tempi, decompressione, respiratori, buio, rischio di perdersi. Io non farei mai lo speleosub. Mi sembra quasi che chi lo pratica anticipa la prenotazione di sola andata per l’altro mondo. Un rischio infinito che mi vincolerebbe in qualsiasi uscita.
Che dire degli altri? Ancora si stà discutendo sulle cause di morte del francese, Gerard A., ancora una volta si stanno rimettendo in discussione tecniche e attrezzature, ancora una volta si parla di cambiare, di modificare gli standard, la didattica, le usanze.
Sarà che soffro di vertigini, ma molte volte mi ha sfiorato il pensiero della morte. Non succede quando sono in grotta, li l’ambiente ti prende e ti ammalia, ma poi a casa, in macchina, si ha la consapevolezza che comunque un pò di rischio c’e’ sempre e ancora una volta nonostante qualche piccola cazzata su un passaggio abbiamo riportato a casa la pellaccia anche questa volta. Purtroppo non è stato così per questi altri. Mi dispiace, per loro e per le loro famiglie.

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