Padre Antonio Furreddu, il cui ricordo è ancora ben vivo nella memoria della maggior parte degli speleologi sardi, è considerato indiscutibilmente il pioniere e fondatore della speleologia sarda.

Antonio Furreddu Sanjust era nato a Nulvi, in provincia di Sassari, il 5 luglio 1914 da una famiglia di antica nobiltà ed aveva compiuto i suoi studi teologici e scientifici in prevalenza nell’Italia settentrionale. Qui era entrato in contatto con una disciplina nuova, sconosciuta in Sardegna e fondamentale per i suoi futuri interessi speleologici: l’alpinismo. Era tornato in Sardegna nel 1952 stabilendosi a Cuglieri e dedicandosi all’ insegnamento della matematica e della fisica nelle aule severe, ma ricche di tradizione culturale del seminario pontificio.
Proprio nel 1952, anno del suo rientro in Sardegna, si era ricostituito, sotto la presidenza dell’ ingegnere Dino Giacobbe, il primo gruppo di persone dedite allo studio delle cavità naturali, il Gruppo Grotte Nuorese, e Furreddu vi aveva aderito con entusiasmo, diventandone fervido sostenitore e trasmettendo l’entusiasmo per la nuova disciplina ai suoi giovani studenti del seminario di Cuglieri. Non mancarono le adesioni e, ad appena due anni di distanza, il gruppo di giovani attorno a Padre Furreddu era così numeroso da suggerire l’ opportunità di una gemmazione dal gruppo nuorese e la creazione di un sodalizio autonomo, che diventò in ordine di costituzione il secondo gruppo speleologico dell’isola.
Nel 1953, a distanza di appena un anno dal suo rientro in Sardegna, Padre Furreddu riusciva ad impiantare a Cuglieri il primo osservatorio geofisico dell’ isola, collegato a tutti gli altri osservatori geofisici della penisola, per lo studio delle variazioni dei campi magnetici e la localizzazione degli epicentri dei tenemoti. Si preparava in tal modo un fertile terreno per lo sviluppo della speleologia nell’isola: ed infatti due anni dopo, nel 1955, si teneva proprio in Sardegna il VII Congresso Nazionale di Speleologia. Era inaugurato dall ‘onorevole Mannironi, a quei tempi sottosegretario alle comunicazioni e rappresentante del governo, nell’aula magna dell ‘Università di Cagliari.
Quasi tutti i relatori provenivano dalla penisola o dall’estero: gli studiosi sardi erano pochissimi, non più di tre o quattro. Ma tra essi non mancò di richiamare l’attenzione quel giovane sacerdote, professore di matematica e fisica al seminario di Cuglieri, che presentava le esplorazioni speleologiche fatte con i suoi studenti nella Sardegna centro-occidentale. l suoi interventi erano stati di ampiezza inattesa: aveva parlato del magnetismo delle rocce, della possibilità di applicare il loro termomagnetismo alla datazione ed alla stratigrafia dei sedimenti; aveva parlato di clima e variazioni climatiche all’interno delle grotte, di sismologia, e di tutela delle foche monache nel golfo di Orosei, anticipando quei temi che sarebbero divenuti campo di ricerca negli anni futuri.
Alla fine di quello stesso 1955 padre Furreddu fondava ufficialmente il gruppo speleologico Pio XI, un sodalizio di allievi ed ex allievi che, pur con un naturale ricambio di elementi , lo avrebbe accompagnato nelle sue ricerche nei successivi trentacinque anni.

Era il 16 agosto 1956 allorchè, con tanto di auspici dell’Assessorato Regionale all’Istruzione, parti va la prima missione ufficiale del gruppo per lo studio ed il censimento delle cavità dell’isola. Un primo catasto speleologico lo aveva cominciato il professar Carmelo Maxia, direttore dell’Istituto di geologia dell’ ateneo cagliaritano, fin dal 1936, ma l’opera non era stata aggiornata e le cavità censite e descritte erano poche. La campagna del 1956 portava alla descrizione completa ed al rilievo di ventidue cavità inesplorate nella zona di Monte Albo.
Nel 1957 padre Furreddu partecipava, con gli amici del Gruppo Grotte Nuorese, all’esplorazione della Voragine del Golgo in territorio di Baunei , una voragine profonda quasi trecento metri, la cui esplorazione, condotta con strumenti e tecniche pionieristiche per quei tempi, aveva comportato grandi sforzi e non meno grandi rischi. Funi e scalette, allora di legno e corda, molto più pesanti ed ingombranti di quelle attuali, erano state portate con un carro a buoi sul ciglio della grande voragine.
Nel settembre dell’anno successivo padre Furreddu era di nuovo impegnato a scendere in un pozzo: stavolta era il turno della Voragine di Tiscali, in territorio di Dorgali, per il recupero di resti ossei umani segnalati sul fondo della voragine, su richiesta del sostituto procuratore della Repubbli ca di Nuoro, dottor Fodde. Partecipavano alla missione un gruppo di speleologi del Gruppo Grotte Nuorese e del Pio XI, il medico legale prof. Camba, il sostituto Procuratore Fodde e personale della Questura, dei Vigili del Fuoco e dei Carabinieri. Padre Furreddu scese col medico legale, alcuni vigili del fuoco ed alcuni speleologi nella voragine, profonda circa ottantacinque metri, per rilevarla, descriverla e documentare il recupero delle ossa umane. Dall’ esame della posizione di caduta si rilevò che quei poveri resti appartenevano a quattro individui di sesso maschile gettati vivi in fondo alla voragine, con mani e piedi legati ed occhi bendati, nell ‘ambito di qualche antica e feroce vendetta. Una de ttagli ata Relazione di perizia speleologica all ‘autorità giudiziaria fu inviata qualche giorno dopo da Padre Furreddu alla Procura della Repubblica di Nuoro. La sua partecipazione al recupero dei resti ossei è indicati va della posizione di particolare credito che il giovane sacerdote speleologo si era guadagnato anche nella magistratura isolana. Solo a distanza di ventitré anni padre Furreddu avrebbe reso nota quella relazione, pubblicandola in tegralmente sui numeri 33 e 34 di “Speleologia Sarda” ( 1980).
Negli anni successivi l’esplorazione di pozzi, cavità, voragini e grotte continuò attivamente in tutta l’ isola, e i dati furono pubblicati in un volume che avrebbe rappresentato una pietra miliare nella storia della speleologia isolana, dal titolo “Le grotte della Sardegna: guida al mondo carsico dell ‘isola “, edito da Fossataro nel 1964. Il volume, scritto in collaborazione con l’ amico Carlo Maxia, titolare dell a cattedra di Antropologia nell’ ateneo cagliaritano, catalogava e descriveva oltre trecento cavità.
Nel 1970 la stazione geofisica di Cuglieri veniva trasferita a Cagliari, nei sotterranei di un antico edificio di via La Marmora di proprietà dei Gesuiti, e qui venivano anche installati i sismografi, su blocchi di cemento che affondavano per di versi metri nella roccia di Castello. Padre Furreddu intanto, anche in veste di direttore dell ‘Osservatorio Geofisico, era di ventato il punto di riferimento obbligato per chiunque fosse interessato allo studio del sottosuolo della Sardegna.
Nello stesso anno egli iniziava il primo studio sulle foche monache del golfo di Orosei: un lavoro di ampio respiro che sarebbe durato cinque anni con finanziamenti dapprima regionali e poi di enti di ricerca internazionali, e lo avrebbe portato a seguire le foche nei loro spostamenti nel Mediterraneo, dalla costa di Orosei alla Tunisia ed alle isole greche del Dodecanneso.
La ricerca, che metteva in evidenza le &bitudini delle piccOle comunità di foche monache nell e grotte sottomarine del golfo di Orosei, aumentò la notorietà di Padre Furreddu, anche perché l’ intera campagna di ricerche fu documentata con una serie di diapositive che, in futuro, sarebbero state proiettate e commentate personalmente da lui tantissime volte, non soltanto in austeri convegni di studio, ma anche in aule scolasti che ed universitarie. All’ inizio degli anni ’70 il turismo di massa non aveva ancora sconvolto la costa del golfo di Orosei, e le foc he monache delle sue diapositi ve erano animali socievoli ecuriosi che si av vicinavano agli speleosub e si lasciavano accarezzare.
Nel 1972 padre Furreddu ini ziò a pubblicare Speleologia Sarda, un bollettino che sarebbe apparso con grande puntualità ogni tre mesi per ben diciannove anni . La rivista non aveva un comitato di redazione, ma era curata interamente da lui sotto tutti gli aspetti. Accoglieva articoli di tutti i gruppi speleologici della Sardegna, ma ospitava anche contributi di archeologia, biologia, antropologia ed altre discipline. Tra i collaboratori fi guravano anche docenti universitari e noti studiosi, come Giovanni Lilliu o Renzo Stefani . La rivista ospitava anche gli studi e le ri cerche che padre Furreddu aveva in corso: tra i suoi contributi scientifici più interessanti ricordiamo lo studio sugli aspetti idrografi ci dell ‘Iglesiente, in cui metteva in evidenza quale enorme patrimonio idrico non utilizzato esistesse nella zona.
O quello sull a geomorfo logia dell’ isola di Tavolara, o lo studio sui terremoti avvenuti in Sardegna dal 1600 ad oggi. Così, allorché nel 1977 una lieve scossa sismica interessò il cagliaritano creando una certa apprensione, fu lui a ricordare dalla terza pagina dell’ Unione Sarda, che i terremoti, per guanto rari in Sardegna, non erano totalmente estranei all a storia dell’ isola.
Nella sacrestia della cattedrale di Cagliari vi era addirittura una lapide a ricordare un lontano terremoto del 4 giugno 1616. E sono sue anche le elaborazioni della catta magnetica e della catta sismica regionale presenti nel grande Atlante della Sardegna di Pracchi e Terrosu Asole, edito per la prima volta nel 1971.
Alla fine degli anni settanta la stazione sismografica di via La Marmora fu spostata a Punta Serpeddì, ed i vecchi sismografi a pennino sostituiti con appat·ecchi elettronici ad alta precisione, in collegamento permanente con la rete di monitoraggio su tutto il territorio nazionale. Se ne occupava in prima persona padre Furreddu come direttore dell ‘osservatorio geofisico. E nei mesi successivi al disastroso terremoto del 1980 in Italia meridionale, era sempre più spesso assente da Cagliari perché impegnato a Roma con le riunioni della commissione grandi rischi del CNR. Si stava inoltre dedicando con interesse ad una nuovissima branca de ll a speleologia, la speleoclimatologia, che studi a quelle minime variazioni climatiche di temperatura che si possono registrare all’ interno di una grotta nel corso delle stagioni.
Aveva attrezzato un piccolo laboratorio in una grotta nel comune di Villasalto e per cinque anni ne aveva registrato le variazioni di temperatura, umidità, pressione e composizione dell’ aria.
Gli spaziosi ambienti di via La Marmora, liberati dagli ingombranti sismografi, erano di venuti nel frattempo la sede ufficiale del “Gruppo Speleologico Pio XI”, e si erano trasformati in un aggiornato centro di documentazione speleologica, da cui partiva ogni tre mesi l’ultimo numero di “Speleologia Sarda”, ed a cui arrivavano, in un normale rapporto di scambio, riviste e bollettini di speleologia da tutto il mondo.
Quel materiale era a disposizione di tutti, soci e non soci del Pio Xl, speleologi e non speleologi : ed infatti il tradizionale incontro settimanale del venerdì sera nella sede di via La Marmora era tutt’altro che la riunione di un gruppo speleologico, anche perché non erano solo gli speleologi a frequentare la sede. Medici, biologi, docenti uni versitari, tutti amici di Padre Furreddu, venivano a presentare i loro progetti di ricerca e a chiedere la sua collaborazione ora per qualche studio sui geotritoni , ora per una sperimentazione di speleoterapia, o per una ricerca sulle malattie trasmesse dai pipistrelli.
Poi, nei primi mesi del 199 1, riapparve subdola ed improvv isa una forma tumorale già curata con successo molti anni addietro. Padre Furreddu aveva allora 76 anni , ma fino a quel momento aveva goduto di ottime condizioni fisiche, tanto che nel poco tempo libero partecipava ancora alle ricognizioni in grotta.
Con gran serenità e coraggio si sottopose tutte le terapie chirurgiche per debellare il male, ma stavolta tutti gli sforzi risultarono vani e nel giro di pochi mesi sopraggiunse la morte.
Con una solenne cerimonia religiosa, celebrata nella chiesa del Cristo Re in via Scano, l’undici maggio 1991 gli speleologi sardi rendevano l’ultimo saluto a Padre Antonio Furreddu, consapevoli della scomparsa non solo di un amico, ma dello studioso e del maestro che aveva tracciato la strada della speleologia sarda.

Fonte: Sardegna Speleologica n°18 Giugno Dicembre 2001
“In ricordo di padre Furreddu” di Antonello Fruttu
Si ringrazia Silvia Arrica per la collaborazione.

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