Uno studio italiano pubblicato su Plos One e realizzato congiuntamente tra Università di Firenze, università La Sapienza di Roma e Università di Pisa, scopre che lo scheletro dell’uomo di Neanderthal presente nella grotta Lamalunga apparteneva a un uomo alto, non giovane e molto stressato. Il gruppo di ricerca preme per l’estrazione ma si rischia il danneggiamento irreversibile del reperto e la perdita definitiva di preziose informazioni.

Il teschio dell’uomo di Altamura

L’Uomo di Altamura, il più completo scheletro di Neanderthal mai scoperto, risalente a circa 150mila anni fa, era un individuo adulto, piuttosto avanti negli anni, ma non anziano, alto e doveva aver avuto problemi di salute: è quanto emerge dallo studio sui denti del Neanderthal di Altamura e sul suo apparato di masticazione, appena pubblicato su Plos One realizzato insieme da Università di Firenze, Sapienza Università di Roma e Università di Pisa.

Rinvenuto nel 1993 in Puglia, nelle profondità della grotta carsica di Lamalunga in Alta Murgia, lo scheletro è tuttora incastonato nella roccia a diversi metri di profondità, coperto daconcrezioni calcaree che lo rendono un unicum anche da un punto di vista geologico.

Essendo vietata l’estrazione e l’asportazione che rischierebbe la distruzione o il danneggiamento irreversibile di questo reperto unico al mondo – nonché della grotta stessa che è un prezioso giacimento paleontologico – il gruppo di ricerca ha condotto una serie di osservazioni e rilevamenti sul posto con l’ausilio di sonde videoscopiche ad alta risoluzione.

Tutto suggerisce che lo stile di vita di quest’uomo del Paleolitico medio fosse già molto complesso. Secondo lo studio scientifico, la presenza del terzo molare, il grado di usura masticatoria e la perdita di due denti prima della morte indicherebbero problemi di salute. Una radiografia dei denti anteriori ha anche permesso di individuare una lesione nell’osso, alla base di un incisivo, che potrebbe essere dovuta a un forte stress non riconducibile all’alimentazione.

L’eccezionale reperto, testimonianza di un uomo preistorico precipitato in un pozzo naturale dove morì di stenti, è di fondamentale importanza per i ricercatori. È stato oggetto di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR) e autorizzato dalla competente Soprintendenza Archeologica, che ha permesso una serie di indagini scientifiche condotte negli ultimi anni (2017-2020), i cui risultati iniziano ora a essere pubblicati su riviste internazionali.

“Grazie all’ausilio di sonde videoscopiche ad alta risoluzione , che dobbiamo alla collaborazione della Olympus Europa, siamo riusciti a osservare le caratteristiche della dentatura e delle ossa mascellari, ottenendo nuove informazioni sull’età e lo stato di salute e confermando la presenza di caratteri tipici dei Neanderthal”– spiega Jacopo Moggi Cecchi, tra gli autori dello studio -.Giorgio Manzi, altro autore dello studio, aggiunge: “Abbiamo anche effettuato una radiografia dei denti anteriori, utilizzando per la prima volta a questo scopo un apparecchio a raggi X portatile KaVo NOMAD Pro 2. In questo modo abbiamo così individuato una lesione nell’osso, alla base di un incisivo, che potrebbe essere dovuta a una forte stress non riconducibile all’alimentazione”.

Nuove acquisizioni su questo straordinario reperto potranno essere raggiunte con la pubblicazione delle altre ricerche in corso e con il futuro sviluppo delle nuove tecnologie che consentiranno di esaminarlo senza estrarlo, sebbene il gruppo di ricerca e vari gruppi di interesse locali, premano per l’estrazione e il trasporto in laboratorio, dimostrando scarsa lungimiranza e interesse nullo per tutti gli altri ambiti di studio al di fuori del proprio.

A farlo notare in un’intervista a Scintilena fu proprio il prof. Paolo Forti, che spiegò come la storia degli studi scientifici ci abbia insegnato che la tecnologia avanza, e oggi e domani potranno essere raggiunti risultati impensabili fino a pochi anni fa, senza la necessità di estrarre il reperto e quindi perdere preziose informazioni. E’ successo, per esempio, con l’esercito di Terra Cotta dell’imperatore, le mummie egizie e le piramidi, i reperti maya di Chichén Itzá e le vittime di Pompei, che se studiate oggi nel loro sito avrebbero restituito una serie di informazioni , oggi perdute per sempre. Per tale ragione, sempre più la ricerca archeologica e paleontologica di tutto il mondo si orienta verso lo studio e la protezione dei reperti in situ, e una scelta etica di prudente attesa.

Fonte AGI Gazzetta del Mezzogiorno

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