Queste caverne sono protette dai tremendi sbalzi di temperatura Potrebbero essere il luogo ideale per ospitare semplici forme di vita
Articolo di cesare Guaita, GAT – Planetario di Milano, apparso su “Tutto Scienze” Supplemento a “La Stampa” del 24 Ottobre 2007. Le pagine in .pdf di TuttoScienze sono rilasciate sotto licenza Creative Commons: clicca qui per conoscere i termini della licenza. Commons License

Sono state chiamate le «Sette Sorelle» e denominate Dena, Chloe, Wendy, Annie, Abbey, Nikki e Jeanne le sette macchie scure scoperte nel marzo 2007 sulle pendici del vulcano marziano Arsia. Tra i misteri che racchiudono ci potrebbe essere anche quello della presenza di eventuali forme di vita.
E’ stata la risoluzione di 20 metri della fotocamera Themis (Thermal Emission Imaging System), montata sulla sonda Odyssey 2001, a rilevare forme quasi perfettamente circolari, con un diametro tra 100 e 300 metri. Già all’inizio si era escluso che si trattasse di crateri da impatto e la colorazione scura (comunque fosse l’angolazione solare) è stato l’indizio che impediva di pensare a massi vulcanici finiti in superficie. Ma l’idea che si trattasse di caverne si è fatta strada solo quando Themis ha ripreso immagini di Annie di mattina e di pomeriggio.
L’impronta scura risultava più «calda» dell’ambiente circostante alle 4 di mattina e più «fredda» alle 3 del pomeriggio: si trattava quindi di una struttura che tendeva a mantenersi termicamente costante rispetto all’ambiente esterno, esattamente come le caverne terrestri!
A maggio la Nasa ha quindi deciso di scrutare una delle presunte caverne (Jeanne, sul versante di Nord-Est di Arsia) con lo strumento migliore a disposizione, la fotocamera HiRISE (High Resolution Imaging Science Experiment), installata sulla sonda «Reconnaissance Orbiter» e capace della fantastica risoluzione di 25 centimetri.
Il risultato è stato eccitante e deludente al tempo stesso. Jeanne è un buco dal bordo dentellato, ma non è stato possibile determinarne la profondità: il colore rimaneva assolutamente nero anche in immagini a lunghissima posa, a dimostrazione che il Sole non ce la faceva ad arrivare sul fondo. Evidentemente, al di sotto di quell’apertura ci doveva essere un baratro enorme sia in larghezza sia in profondità. Non era però possibile stimare quale fosse questa profondità e lo spessore della parete. La risposta è arrivata ad agosto, quando HiRISE ha ri-fotografato Jeanne di sbieco, e con il Sole a Ovest della verticale. Ne è uscita un’immagine inequivocabile, che mostra il bordo Est dell’apertura perfettamente illuminato. Da qui è stato facile dedurre che l’impronta circolare non è un pozzo, ma un foro prodottosi in una parete di lava dello spessore di 20-30 metri, al di sotto della quale c’è un volume vuoto, una caverna insomma. La genesi delle caverne è piuttosto facile da immaginare: si tratterebbe di tubi di flusso prodotti da colate di lava in movimento. Le porzioni esterne si raffreddano prima dello strato sottostante, producendo quindi pareti cilindriche entro cui la lava continua a scorrere finché viene alimentata. Alla fine non resta che una caverna cilindrica vuota, dalle pareti superiori più o meno fragili. Le «Sette Sorelle» marziane, perciò, altro non sono che fori circolari, prodottisi in pareti di questo tipo in seguito a traumi esterni (meteoriti, ricaduta di rocce emesse dal vulcano, scosse sismiche). Le stime della loro profondità non sono semplici, ma i calcoli del team dell’Università dell’Arizona, guidato da G.E. Cushing, parlano di un valore minimo di 100 metri. Resta il fatto che, se la genesi delle caverne è quella ipotizzata, il numero delle formazioni dev’essere enorme: sul Pianeta Rosso sono presenti decine di vulcani spenti, con le pareti percorse da una moltitudine di «venature radiali », interpretabili come tubi di flusso probabilmente vuoti all’interno.
Tutto questo, a parte l’affascinante significato geologico, assume grande importanza dal punto di vista biologico, per due aspetti. Prima di tutto le caverne marziane potrebbero essere il luogo migliore per costruirvi basi d’esplorazione umana: l’interno sarebbe protetto dalle tremende condizioni ambientali della superficie, sottoposta di notte a violenti sbalzi termici e di giorno alla radiazione cosmica e solare. In secondo luogo le caverne, per il loro clima stabile e protetto, potrebbero essere (come insegnano le cugine terrestri) il luogo ideale per la nascita e la sopravvivenza di semplici forme di vita. D’altra parte, non è escluso che siano uno dei pochi ambienti dove il ghiaccio del Pianeta Rosso si possa facilmente trasformare in acqua liquida. Come dire che, d’ora in poi, le caverne diventano uno dei luoghi più interessanti per la ricerca della vita su Marte. Per fortuna la tecnologia è già in fase sperimentale. La Nasa ha lanciato il Progetto DEPTHX (Deep Phreatic Thermal Explorer): è una sonda in grado di calarsi in pozzi profondi e di studiarli. Potrà cominciare dai laghi sub-glaciali antartici per arrivare alle «Sette Sorelle» marziane.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *