Un patrimonio geologico unico nel suo genere

Nel mondo delle rocce evaporitiche, l’halite, nota anche come salgemma, è una roccia in cui i fenomeni carsici si sviluppano con una rapidità di diversi ordini di grandezza superiore a quella a cui siamo abituati.

Tuttavia, la sua estrema solubilità, che raggiunge circa 360 grammi per litro di acqua, rende questi fenomeni praticamente confinati nei climi aridi.

Inoltre, i banchi di halite, sebbene presenti in grandi quantità nella crosta terrestre, nella maggior parte dei casi non affiorano, ma si trovano sepolti anche a chilometri di profondità.

Ciò rende le grotte nel sale un fenomeno piuttosto raro e poco comune.

Fortunatamente, il sale ha la tendenza a risalire in superficie, principalmente sotto forma di estrusioni, ovvero grandi domi o colonne saline, noti come diapiri salini.

In giro per il mondo, è possibile trovare una discreta quantità di questi diapiri, come isole di sale di dimensioni variabili.

Alcuni di essi sono ancora interessati da una spinta capace di generare vere e proprie “fontane” e ghiacciai di sale che fluiscono lentamente, come i Namakier in Iran, mentre altri sono ormai immobili.

In Italia, nel contesto della crisi di salinità del Messiniano, oltre alla sequenza di banchi gessosi, si sono generati anche potenti banchi di halite.

Purtroppo, questi ultimi giacciono sepolti in profondità e sono stati raggiunti solo dall’attività mineraria.

Tuttavia, esiste una fortunata eccezione in Calabria, nel bacino del Crotonese, dove all’interno della nota serie evaporitica, si trovano diversi piccoli diapiri salini che affiorano in superficie, principalmente nel territorio del comune di Casabona.

La presenza di questi diapiri è nota in bibliografia almeno dagli anni ’60 ed è stata citata in diversi lavori sul carsismo nei gessi.

Di recente, alcune ricerche hanno affrontato la caratterizzazione delle diverse facies presenti e lo studio delle inclusioni fluide nei cristalli per ricostruirne le condizioni paleoclimatiche di origine.

Nel contesto del patrimonio geologico nazionale, si tratta di un caso praticamente unico, e infatti l’area ha ottenuto negli ultimi anni una certa visibilità come geosito e meta di turismo geologico.

Dal punto di vista speleologico, tuttavia, non risulta documentata in bibliografia l’esistenza di grotte in queste formazioni.

Recentemente, un gruppo di ricercatori costituito da Andrea Benassi, Roberto Pettirossi e Mauro Masci si è recato sul posto per valutare le potenzialità dell’area.

La loro breve ricerca si è concentrata sui quattro principali punti in cui affiora la matrice salina, in parte protetta da un sottile caprock breccioso e in parte sovrastata da argille.

Qui, hanno documentato l’esistenza di almeno sei grotte tra pozzi, risorgenze e inghiottitoi che si sviluppano nell’halite, per un totale di circa 200 metri di estensione.

Allo stato attuale delle conoscenze, questo risulta sicuramente il fenomeno più importante presente.

Localmente noto come Grotte di Mandria Vecchia, è risultato conosciuto dagli abitanti di Zinga da un ingresso all’altro, da almeno 60-70 anni e percorso occasionalmente almeno fino a 15-20 anni fa, quando alcune frane lo hanno reso di difficile accesso.

La solubilità del sale rende gli speleotemi di halite qualcosa di molto effimero e mutevole, ma anche affascinante nelle forme e tipologie.

Accanto a stalattiti, croste, rim, raft e tante altre forme microcristalline, nelle grotte esplorate fanno bella mostra anche diversi speleotemi macrocristallini a base di cristalli cubici di halite, tra cui tutta una serie di stalattiti composte da una sequenza di cristalli scheletrici ed euedriali.

Vista l’estensione dei diapiri, dal punto di vista esplorativo è difficile immaginare la presenza di grandi sistemi ipogei.

Allo stesso tempo, la documentazione di queste grotte, anche se di limitata estensione, aggiunge senza dubbio valore al contesto e alla sua unicità sul territorio nazionale.

Si possono inoltre immaginare interessanti ricerche e monitoraggi proprio sull’evoluzione nel tempo di questi fenomeni, sia per quanto riguarda il ciclo degli speleotemi, sia per l’evoluzione morfologica di questi piccoli sistemi, che si prestano bene a diventare modelli da studiare.

I ricercatori torneranno sicuramente sui diapiri di Zinga, magari anche in compagnia di chi sia interessato a documentare una speleologia diversa dal solito.

Articolo originale e maggiori info: https://casolaspeleo.blogspot.com/2024/05/il-sale-della-terra-grotte-nei-diapiri.html

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