I due imputati rischiano sei anni di carcere per quattro reati, tra cui uno contro il patrimonio culturale

Immagine di copertina generata con AI

Due allevatori di Ribadedeva si siederanno in tribunale questa settimana, accusati di aver scaricato liquami nella grotta del Pindal, un sito patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Il processo si svolgerà presso il Tribunale Penale n. 3 di Oviedo, con inizio alle 9:30 di mercoledì e proseguirà il 19.

L’accusa chiede sei anni e tre mesi di carcere per entrambi gli imputati per quattro reati, tra cui quello contro il patrimonio culturale e contro l’ambiente.

Secondo l’accusa, i due imputati, il promotore di un allevamento di bestiame situato in un’area classificata come “non edificabile di protezione costiera” dal PGO di Ribadedeva, e il suo titolare, hanno gestito l’attività senza licenza dalla metà degli anni ’90.

Se fosse stata richiesta in tempo, la legislazione patrimoniale avrebbe impedito lo sviluppo dell’allevamento, poiché la sua ubicazione si trova nell’area di protezione della grotta del Pindal, incompatibile con la conservazione adeguata del sito.

La grotta del Pindal, una delle più grandi meraviglie dell’arte paleolitica, è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 2008, insieme ad altre pitture rupestri della costa cantabrica.

Gode della massima protezione prevista dalla normativa vigente, essendo dichiarata Bien de Interés Cultural.

Attualmente, la grotta è chiusa al pubblico a causa della presenza di grandi quantità di gas radon.

L’accusa sostiene che gli imputati abbiano superato i limiti di utilizzo del suolo, in contrasto con la zonizzazione urbanistica dei terreni classificati come “suolo non edificabile di coste”, senza rispettare le disposizioni della licenza municipale concessa il 29 marzo 1995 dal Comune di Ribadedeva.

Inoltre, avrebbero effettuato lavori che hanno modificato il bacino del torrente La Llongar.

Secondo l’accusa, i due imputati hanno costruito un cammino di accesso ai mangimi, ampliando il terrapieno e generando un terrapieno che impedisce al torrente La Llongar, in caso di piena, di disperdersi in tutta la valle.

Ciò concentra il flusso d’acqua e il trasporto di materiale contro un pozzo situato vicino all’allevamento e nell’area di infiltrazione diretta della grotta. In caso di inondazione, il fango concentrato di liquami nella zona dei mangimi si sposta verso il punto di fuga naturale (il pozzo).

Questo è accaduto nel mese di ottobre 2019, quando è stato creato un cedimento che ha causato l’ingresso di sedimenti nella grotta del Pindal.

L’allevamento, secondo l’accusa, concentra una quantità “importante” di liquami e, in periodi di pioggia, quando si attiva il corso d’acqua sotterraneo, “si è notato l’odore di letame, il che evidenzia la connessione tra questi fenomeni esterni e l’interno della grotta”.

I titolari dell’allevamento “hanno violato” l’ordine di sospensione dell’attività, emesso dalle autorità municipali il 10 dicembre 2019, e hanno ignorato la richiesta del 27 novembre 2019 del Consiglio del Patrimonio Culturale delle Asturie di procedere all’aspirazione dell’acqua concentrata nello stagno mediante una cisterna, al fine di evitare uno sblocco naturale che provochi l’ingresso a tromba nella grotta, continuando la loro attività fino a almeno febbraio 2021.

Il costo della pulizia, dell’analisi dei danni, dei mancati guadagni dovuti alla chiusura per due mesi e delle giornate di lavoro del personale che ha dovuto abbandonare le sue mansioni abituali ammonta a 10.199,32 euro.

L’accusa ritiene che i fatti siano costitutivi di quattro reati: contro il patrimonio storico, contro l’ordinamento del territorio, contro le risorse naturali e l’ambiente e un altro di disobbedienza.

Per questo motivo, chiede che ciascuno degli imputati sia condannato per il reato contro il patrimonio storico alla pena di un anno e sei mesi di carcere, dovendo restaurare il bene danneggiato o indennizzare il Principato delle Asturie per il costo della riparazione se quest’ultimo lo avesse effettuato.

Per il reato contro l’ordinamento del territorio, la pena richiesta è di due anni e tre mesi di carcere, oltre a una multa di 18 mesi con una quota giornaliera di 20 euro.

Per il reato contro le risorse naturali, la pena di due anni e sei mesi di carcere, multa di dodici mesi con una quota giornaliera di 20 euro e per il reato di disobbedienza, multa di dodici mesi con quota giornaliera di 20 euro.

Inoltre, si richiede che risarciscano congiuntamente e solidalmente il Principato delle Asturie con 10.199,32 euro per le spese di pulizia, analisi dei danni, mancati guadagni per la chiusura per due mesi e giornate di lavoro del personale che ha dovuto abbandonare le sue mansioni abituali; con 2.940,30 euro per il costo del rapporto di analisi chimiche e microbiologiche dei sedimenti, e per i danni causati nella grotta che, eventualmente, saranno accertati in esecuzione della sentenza.

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