La famosa scena incisa in una delle Grotte dell’ADDAURA e la vera storia della sua scoperta raccontata da Giovanni Mannino, precursore delle ricerche archeologiche nelle grotte della Sicilia. (Grazie a Mauro Alessi). |

Di GIOVANNI MANNINO. Le vicende che hanno portato alla scoperta delle incisioni dell’Addaura sono interessanti ed irripetibili. Vogliamo raccontarle perché è “storia” conosciuta dalla viva voce dei protagonisti. Questi sono: Giosuè Meli, impiegato presso la Soprintendenza alle antichità di Palermo che aveva seguito gli scavi dell’Addaura del 1946-47; il suo amico dr. Giuseppe Saccone appassionato di archeologia; Giovanni Cusimano “fissato” ricercatori di tesori nelle grotte del Monte Pellegrino (Mannino, 1985). Cercheremo di ripetere le parole allora ascoltate con la sola lacuna delle date, più difficili da ricordare.. Alla fine del 1951 o all’inizio del 1952 Giovanni Cusimano è di buonora nella Grotta dell’Addaura Crapara, seduto su un masso osserva “u pirtusu du sciusciu”, il buco del soffio (Mannino,1985). Il pietrame accatasto all’ingresso, che quasi cela il passaggio, è motivo di alimentare la fantasia della “travatura” che da anni ricerca, senza successo ma con rinnovate speranze, come aveva fatto suo padre fino a qualche anno prima…Il grande riparo dell’Addaura raccoglie le voci lontane dei giovani dell’Istituto Rusvelt nell’ex cantiere navale dell’Addaura presso il mare, tutto ad un tratto risuonano i passi amplificati dal pietrisco calpestato di Gioseuè Meli e di Giuseppe Saccone. I tre uomini s’incontrano, si salutano com’è uso in campagna. I due amici tacciono di essere lì per rivedere i luoghi degli scavi archeologici svolti qualche anno prima. E’ opportuno ricordare che il Meli, appassionato di archeologia fino al fanatismo aveva seguito nella Grotta del Genovese di Levanzo, nell’estate precedente, sia gli scavi che la documentazione delle incisioni compiute dall’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. I tre, dopo il saluto, scambiano qualche parola: il Meli ed il Saccone fingono un generico interesse naturalistico, mentre il Cusimano, con l’ingenuità dell’incolto, si dichiara subito “cercatori di tesori e conoscitore di ogni pietra del Monte Pellegrino”. Sono parole che sentiremo ripetere pure dalla sua viva voce l’anno dopo quanto lo incontrammo essendo stato assunto come operaio per gli scavi nella Grotta Niscemi. Il Meli ricordando le incisioni di Levanzo ebbe l’intuizione di chiedere al Cusimano se mai nelle sue ricerche avesse visto in qualche grotta “disegnino di animali e pupazzi”. Incredibilmente Cusimano rispose “si, qui vicino”. I due amici, assolutamente increduli ma incuriositi invitarono il Cusimano di mostrarglieli. Il Cusimano si avviò e lasciata l’Addaura Crapara ed anche l’antro Nero, che la Bovio Marconi chiamerà grottina “B” dopo la scoperta di due incisioni di bovidi, raggiunsero la prima grotticina dell’Addaura III: più o meno l’ampiezza di una camera. Il Cusimano entrò dentro ed avvicinandosi alla parete sinistra vi puntò la mano. “Sulla parete molto liscia, ci riferì il Meli, vidi diverse figure strane, alte quasi un palmo ciascuna. Ebbi la senzazione che potessero avere un grande interesse ma non lo manifestai al Cusimano dovendo lasciare quelle figure senza alcuna protezione, abbandonate a se stesse fino a quando il Soprintendente non avesse preso una decisione. Il Saccone capì subito dalle mie furtive occhiate e lasciò cadere nel nulla la preziosa segnalazione. L’incontro col Cusimano ebbe termine porgendogli i nostri auguri per il suo tesoro”. Un’ora dopo il Soprintendente Jole Bovio bArconi era informato.

LE INCISIONI

Le incisioni dell’Addaura sono tracciate sulla parete sinistra in prossimità della parete di fondo ed anche su quest’ultima parete. Quelle delle parete sinistra sono alte dal piano di calpestio attuale m 1,50 e sono concentrate in una superficie di circa m 1,80 in larghezza per m 2,40 in altezza. Quelle della parete di fondo sono un poco più alte e rientrano in una superficie di circa m 1,50 in altezza per circa m 2 di larghezza.
Le pareti ricevono sufficiente luce dall’esterno, è radente sulla parete sinistra e le incisioni sono perfettamente leggibili. La parete di fondo riceve la luce frontalmente e rende molto difficoltosa la lettura; i graffiti più sottili non si percepiscono. La superficie rocciosa nel corso dei millenni ha subito una erosione carsica, opera di copiose acque di stillicidio. Gran parte della superficie rocciosa sinistra ha subito anche, per mano dei paleolitici una forte abrasione per “preparare” la parete ad accogliere la “scena” famosa della quale parleremo più avanti. Questo lavoro ha distrutto parte delle più antiche raffigurazioni delle quali rimangono i tratti dei solchi più profondi. Questa nostra ipotesi maturata in decine di osservazioni era condivisa dal prof. Paolo Graziosi. Ogni qual volta che egli tornava a Palermo andavamo ben volentieri all’Addaura mai stanchi di ammirare quelle enigmatiche raffigurazioni antropomorfe che ci fornivano nuovi spunti ed emozioni. Nel 1964 un poco delusi per i risultati delle nostre ricerche indirizzate ad individuare incisioni e pitture nelle grotte delle province di Palermo e Trapani, perché in massima parte si è trattato di incisioni “lineari” anche se per primi in Europa, pensammo di rivolgere la nostra attenzione ad un riesame delle incisioni già note, a cominciare dall’Addaura.perché avevamo notato diverse discordanze e lacune tra la documentazione fotografica ed i luci pubblicati e una nostra documentazione fotografica. Programmammo una nuova lucidatura resa necessaria anche per tenere conto della larghezza del solco dei graffiti ignorata in precedenza ed una documentazione tecnica del graffito procedendo ad una serie di calchi delle sezioni e a delle macrofotografie con una particolare attrezzatura fotografica per ottenere delle immagini perfettamente confrontabili. Ottenuta l’autorizzazione dal Soprintendente prof. Vincenzo Tusa e perfino stimolati da lui passammo alla realizzazione. Abbiamo già detto che le incisioni incominciano a m 1,50 dal piano di calpestio e raggiungono m 3,90. Sarebbe servito un ponteggio stabile invece il piano sul quale lavorare è stato realizzato sospendendo orizzontalmente la scala lignea, allora presente nella grotta, in una colonnina di concrezione che si eleva sulla parete di fondo in prossimità della volta. Per la parete sinistra ci ancorammo in prossimità del tetto con un chiodo da roccia. La superficie rocciosa è stata prima spolverata poi lavata con semplice acqua per fare aderire i nastri adesivi per il fissaggio dei fogli di cellofan sul quali poi “lucidare” le figure. Il lavoro è stato eseguito in diverse notti per disporre sempre di luce radente tanto quanto fosse necessaria, fornita da batterie elettriche e da una lampada a carburo. Sento il dovere di ringraziare Totò Bronzino, non interessato personalmente, per la sua disinteressata e fondamentale collaborazione. Chi ha studiato le incisioni dell’Addaura o di altra cavità utilizzando un calco o la documentazione cartacea non può immaginare quanti e quali problemi si sommano e si debbono affrontare: stillicidio, umidità che si condensa tra la parete ed il supporto trasparente rendendolo opaco, il brillio del supporto a qualsiasi incidenza di luce non essendo una superficie piana, l’instabilità del nostro ponteggio sospeso e la tensione muscolare delle gambe sui pochi centimetri dei pioli e dulcis in fundo le zanzare. Tutti questi problemi ci hanno impedito di concludere l’ambito progetto iniziale e fermarci ad un nuovo lucido. Tuttavia i risultati ci soddisfano: abbiamo ottenuto per la prima volta gli insiemi delle due pareti tenendo conto, pure per la prima volta, dell’ampiezza del solco. Infine abbiamo scoperto altre raffigurazioni zoomorfe come la nostra vecchia documentazione fotografica ci aveva fatto sospettare. I nostri luci sono stati pubblicati per la prima volta dal prof. Graziosi (1973, figg.66-68) erroneamente attribuendoli alla Soprintendenza della quale allora non facevamo parte e l’errore continua a ripetersi. Le figure dell’Addaura in origine dovevano raggiungere almeno la cinquantina. Le figure antropomorfe sono 17, più due indiziate; solo una è femminile, dodici sono indubbiamente maschi perché in sei è riprodotto il pene, in sei il pene o lo scroto. Le rimanenti quattro figure, nelle quali il sesso non è presente, almeno tre posseggono altri attributi maschili. Le figure zoomorfe sono pure 17: una cavalla col puledro; sei figure di equidi, alcune parziali; due asinidi; 4 cervi; due alci; due bovidi. Le figure in genere non hanno alcun rapporto fra loro, con alcune eccezioni: la cavalla col puledro già ricordati, una cerva col cerbiatto, due alci con cacciatori. L’accezione che fa dell’Addaura un caso unico in tutto il panorama della preistoria paleolitica di tutti i continenti è la presenza di un numero di figure umane che da sole superano tutte le altre, graffite con un realismo impressionante alcune delle quali compongono una scena assolutamente originale ed enigmatica.

LA SCENA

Fanno parte della scena più volte nominata otto figure, che hanno in comune il capo coperto da una maschera o da una folta capigliatura, il viso coperto da una maschera a “becco d’uccello” interpretabile anche come una barba appuntita, una fascia alla vita, attributi sessuali maschili di forma e dimensioni anatomiche corrette, salvo due personaggi il cui sesso “itifallico” costituisce il fulcro della scena che dà spazio ad interpretazioni diverse e talvolta fantasiose. Le figure sono tutte in atteggiamento dinamico, disposte in cerchio, tranne due che stanno al centro. Soprattutto le due figure in alto, con le gambe divaricale e le braccia sollevate, hanno un atteggiamento di danza o di invocazione. Le figure centrali sono in posizione obliqua in una atteggiamento che non ha confronti con le altre figure tutte in piedi. E’ discorde il parere sulla loro posizione: distesi a terra o colti in un volteggio aereo. Differiscono pure per due particolari che hanno alimentato le diverse interpretazioni: due segmenti tra la spalla e le natiche ed un solo segmento tra la spalla ed i piedi rispettivamente nel personaggio più in alto e più in basso.. Altra discordanza è nel pene che ha forma triangolare e dimensioni anormali. La Bovio Marconi ha fornito una spiegazione pienamente condivisibile, che si tratti di astucci per proteggere l’organo durante l’esecuzione di salti acrobatici ed evoluzioni ginniche che i due personaggi compiono forse per riti d’iniziazione o riti magini della fecondità (Bovio M., 1955). La studiosa ha voluto riportare una seconda ipotesi, pure sostenuta da altri, che l’attegiamento assunto dalla coppia itifallica può far balenare l’idea di un accoppiamento omosessuale. Quest’ipotesi è del tutto improponibile, a parte la distanza e la posizione, per la presenza dell’astuccio. Un’altra interpretazione che sembra scaturita soltanto per i piacere di contraddire la Bovio Marconi venne avanzata a suo tempo dal barone Blanc (1954a, 1955) e sottoscritta dalla Chiappella (1954). Questa si basa su una soggettiva interpretazione dei pochi segmenti dei quali abbiamo già detto: di una “lingua” nel personaggio centrale inferiore e del sesso dei due personaggi centrali.. Viene sostenuto, in breve, che i due personaggi sono colti “incaprettati”. Saremmo in presenza di una scena di autostrangolamento con conseguente naturale erezione del pene e fuoriuscita della lingua. Senza entrare nel merito dell’incaprettamento , rituale tristemente noto nei moderni delitti di mafia, vogliamo osservare che l’artista, che sappiamo bene attento e capace di riprodurre in modo molto corretto l’anatomia di ogni particolare dei personaggi, non avrebbe mai rinunziato a rappresentare i due pernaggi nel loro naturale priatismo causato dallo “strangolamento”. “L’interpretazione delle due figure umane dell’Addaura come rappresentazione di un impiccato non regge” afferma autorevolmente Polo Graziosi che confuta i tre punti sui quali il Blanc costruisce la sua tesi. Sull’intepretazione non assume una netta posizione ma è possibilista sull’ipotesi degli “acrobati” della Bovio Marconi (Graziosi, 1956). Circa vent’anni or sono il Mezzena ha dato una interpretazione molto originale e suggestiva ma non ci sembra affatto realistica perché costruita su un susseguirsi di ipotesi la cui sommatoria non da prove ma ancora ipotesi. L’abbiamo sperimentata ed esclusa. Lo studioso asserisce: “La composizione sembra in sintesi rappresentare una manifestazione nella quale due individui vengono lanciati attraverso un cerchio di astanti, tra quali si trovano, in posizioni diametralmente opposte, sia i due lanciatori che i due raccoglitori”. I due lanciantori sono i due personaggi in alto con le braccia sollevate, gli individui lanciati quelli itifallici centrali, i raccoglitori i due personaggi in basso (Mezzana, 1976). L’autore dopo una serie di disquisizioni, nelle quali sviluppa anche un’indagine prospettica, che il lettore interessato potrà approfondire a parte, fornisce una formula con la quale calcola la traiettoria coperta dai due personaggi in “volo”. La distanza percorsa dalle braccia del lanciatore a quello del raccoglitore sarebbe di m 3,578! In ripetute prove del lancio di un sacco riempito di 50-55 km di pietrame, pur ruotando a mo di un lanciatore di pesi, non ho mai eguagliato il recor del Mezzana ma ho sfiorato a terra i m3. Alda Vigliardi, ultima in ordine di tempo , è propensa ad accogliere la tesi degli “acrobati”, tesi che gli astucci fallici comproverebbero più di quanto non si possa provare il sacrificio umano rituale (Vigliardi, 1991).

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