L’uomo di Naledi – Speleologia al servizio della conoscenza – Pillola settimanale di Marco Bani
Nel settembre del 2013 nella Dinaledi Chamber, facente parte del complesso della Rising Star Cave di recente esplorata in Sud Africa, è avvenuto uno dei più importanti ritrovamenti di reperti antropologici di tutti i tempi.
Il merito deve essere riconosciuto a due speleologi della South African Spelaeological Association che, dopo aver superato impegnativi e stretti passaggi, a 100 m dall’ingresso e 30 m di profondità hanno trovato una miriade di resti ossei di ominidi.
L’intervento speleologico non si è esaurito con la scoperta poiché per il recupero dei reperti sono state scelte, tra un cinquantina di pretendenti, 6 speleo-scienziate adatte a superare le difficoltà date soprattutto da uno stretto camino. Queste speleo-ricercatrici sono state dirette telematicamente dall’esterno dal paleontropologo Lee Berger che ha coordinato un gruppo di ricerca internazionale composto di una cinquantina di ricercatori dell’università sudafricana di Witwatersrand, a Johannesburg.
La determinazione come nuova specie con l’espressione binominiale di Homo naledi è avvenuta nel 2015. Nella caverna sono stati ritrovati oltre 1.500 elementi fossili, appartenenti ad almeno 15 esemplari diversi, il che fa di questo ominide la specie fossile meglio conosciuta nel “cespuglio” evolutivo dell’uomo. Del gruppo di ricerca fa parte anche Damiano Marchi, antropologo del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Esperto di arti inferiori, De Marchi ritiene che H. naledi era capace sia di prodursi in lunghe camminate che di avere una vita arboricola. Sull’età dei reperti si fa l’ipotesi di oltre 2 milioni di anni.
Le caratteristiche H. naledi appaiono intermedie tra Australopithecus e Homo. La conformazione del bacino ricorda quella di Australopithecus afarensis, la famosa Lucy.
Il fatto che nella sala ipogea siano stati ritrovati i soli resti di H. naledi, senza contaminazioni, fa pensare ad una intenzionalità riguardo a quel tipo di sepoltura e testimonia di un prolungato isolamento dall’esterno del sito.
Le ricerche continuano e si ipotizza che la grotta possa restituire ancora molti reperti e fornirci quindi tante informazioni su questo enigmatico antenato di noi H. sapiens del terzo millennio, specie per ora unica a interrogarsi sulla propria storia.
L’intervista a Damiano Marchi, antropologo del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e unico italiano nel team dei ricercatori, che ha studiato le caratteristiche locomotorie dell’ominine.
Documentario del National Geographic sull’Uomo di Naledi
L’articolo è stato pubblicato da Marco Bani sul suo profilo facebook
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