Nuove tecniche di analisi genetica del sedimento permettono di tracciare la presenza umana e animale nella grotta cantabrica

Un recente studio pubblicato su Nature Communications ha rivelato importanti scoperte sulla Dama Rossa di El Mirón, una donna preistorica sepolta circa 19.000 anni fa in una grotta nel nord della Spagna. Attraverso una tecnica innovativa chiamata sedaDNA, che estrae DNA antico dai sedimenti, i ricercatori sono riusciti a tracciare non solo l’ascendenza genetica della Dama Rossa, ma anche la presenza di numerose specie animali che hanno abitato la grotta in diversi periodi.

La ricerca, guidata da Pere Gelabert e Victoria Oberreiter del laboratorio del Professor Ron Pinhasi dell’Università di Vienna, è stata condotta in collaborazione con Lawrence Straus dell’Università del New Mexico e Manuel González Morales dell’Università della Cantabria, che dirigono gli scavi di El Mirón da oltre 25 anni.

L’analisi del DNA sedimentario rivela ecosistemi del passato

La tecnica sedaDNA rappresenta un importante passo avanti negli studi archeologici. Questo metodo consente di identificare tracce genetiche di specie che hanno abitato un sito senza la necessità di avere resti scheletrici ben conservati. Nel caso della grotta di El Mirón, l’analisi ha rivelato la presenza di 28 specie animali, di cui 15 non erano state precedentemente identificate attraverso i tradizionali reperti faunistici.

Tra le scoperte più significative vi è l’identificazione di predatori come iene, leopardi e dhole asiatici (cani selvatici oggi presenti solo in alcune parti dell’Asia). Di particolare interesse è la presenza di iene in strati corrispondenti al periodo Magdaleniano, molto più tardi rispetto a quanto si pensasse per l’estinzione di questa specie in Europa, solitamente collocata intorno a 31.000 anni fa.

I ricercatori sono riusciti a recuperare 70 genomi mitocondriali da DNA sedimentario di 11 specie animali, tra cui il più denso campionamento pleistocenico di lupi (Canis lupus) della penisola iberica. Questi dati offrono nuove prospettive sull’evoluzione e le migrazioni delle popolazioni animali durante il tardo Pleistocene.

Lineaggi genetici umani attraverso l’Ultimo Massimo Glaciale

Una delle scoperte più rilevanti dello studio riguarda i lineaggi genetici umani presenti nella grotta. L’analisi del DNA sedimentario ha rivelato che gli artigiani che crearono manufatti Solutrean a El Mirón durante l’Ultimo Massimo Glaciale (circa 25.000-21.000 anni fa) appartenevano al lignaggio genetico “Fournol”. Questo lignaggio era stato precedentemente identificato in resti trovati in Francia e Spagna, suggerendo che questi cacciatori-raccoglitori dell’Era Glaciale si spostarono verso sud quando le condizioni climatiche divennero estreme.

In seguito, questo lignaggio si fuse con l’ascendenza “Villabruna”, migrata nella regione dai Balcani attraverso l’Italia settentrionale durante il periodo Magdaleniano, contribuendo così al patrimonio genetico della Dama Rossa.

I ricercatori hanno recuperato tre sequenze di DNA mitocondriale umano dagli strati Solutrean. Queste sequenze, insieme ai dati già pubblicati, suggeriscono una continuità dell’aplogruppo mitocondriale in Iberia durante tutto il periodo Solutrean/Ultimo Massimo Glaciale, indicando una stabilità genetica delle popolazioni rifugiate in questa regione.

La grotta di El Mirón: un archivio della biodiversità pleistocenica

La grotta di El Mirón, situata nella regione cantabrica della Spagna settentrionale, rappresenta uno dei rifugi umani principali in Europa durante l’Ultimo Massimo Glaciale. La regione cantabrica ospita alcuni dei complessi del Paleolitico Superiore meglio conservati, rendendo questa zona cruciale per comprendere le dinamiche di popolazione umana e animale durante questo periodo di estreme fluttuazioni climatiche.

Lo studio ha analizzato i sedimenti della sequenza stratigrafica archeologica inferiore della grotta, che comprende il periodo Musteriano tardivo (associato ai Neanderthal) e i periodi Gravettiano (circa 31.500 anni fa), Solutrean (circa 24.500-22.000 anni fa) e Magdaleniano iniziale (circa 21.000-20.500 anni fa), associati agli umani anatomicamente moderni.

I risultati mostrano come umani e animali abbiano occupato alternativamente la grotta in diversi periodi, corrispondenti a vari strati archeologici profondi. Questa alternanza di occupazione tra carnivori e umani era particolarmente comune quando tali occupazioni erano stagionali.

Competizione per le risorse tra umani e carnivori

Durante il tardo Pleistocene (Stadi Isotopici Marini 5-2), i Neanderthal e i primi umani anatomicamente moderni competevano con grandi carnivori per l’occupazione delle stesse nicchie ecologiche. Questa competizione includeva l’accesso a risorse vitali come cibo e riparo.

I principali contendenti carnivori per queste risorse durante il Paleolitico Medio tardivo e il Paleolitico Superiore iniziale erano il leone delle caverne (Panthera spelaea), il leopardo (Panthera pardus), l’iena delle caverne (Crocuta crocuta spelaea), il lupo (Canis lupus) e il dhole (Cuon alpinus).

Le grotte come El Mirón sono quindi depositi inestimabili per comprendere gli adattamenti e le interazioni delle specie durante il Paleolitico Superiore (circa 45.000-12.000 anni fa), fornendo allo stesso tempo informazioni sul comportamento degli umani anatomicamente moderni.

Nuove prospettive su estinzioni e persistenze

Il record faunistico mostra che i leoni delle caverne (Panthera spelaea) persistettero in Europa fino a 14.000 anni fa, potenzialmente sopravvivendo più a lungo in alcune aree. Nel Paese Basco della Iberia atlantica settentrionale, i dipinti rupestri della grotta di Armintxe forniscono prove indirette della presenza di leoni durante il periodo Magdaleniano.

Il leopardo (Panthera pardus) e il dhole (Cuon alpinus) alla fine scomparvero alla fine del Pleistocene. A causa della limitata quantità di resti, le date esatte di estirpazione non possono essere accertate con certezza.

Lo studio del DNA sedimentario ha permesso di identificare la presenza di queste specie anche in periodi per i quali non si disponeva di resti scheletrici, offrendo così nuove prospettive sulla loro persistenza e sulla coesistenza con gli umani.

Metodologie innovative per l’archeologia moderna

Tradizionalmente, gli studi archeozoologici si basano sull’identificazione morfologica dei resti animali e sugli aspetti tafonomici che influenzano tali resti per determinare la presenza di taxa nel record archeologico disponibile. Questi analisi hanno anche fatto luce sulla distribuzione delle specie preda, alcune potenzialmente legate alla sussistenza e all’occupazione umana.

Recentemente, metodi paleoproteomici, in particolare la Zooarcheologia mediante Spettrometria di Massa (ZooMS), consentono il rilevamento e la mappatura di taxa da frammenti scheletrici privi di caratteristiche specifiche del taxon. Tuttavia, l’identificazione ZooMS è limitata al materiale scheletrico conservato e, come tale, non può rivelare tracce di specie vertebrate che potrebbero aver frequentato la grotta senza lasciare resti recuperabili.

L’analisi del DNA antico dai sedimenti (sedaDNA) rappresenta quindi un importante complemento a queste tecniche, fornendo informazioni aggiuntive identificando la presenza di specie animali o gruppi umani nei siti archeologici e recuperando il loro DNA anche senza resti scheletrici visibili.

Implicazioni per la comprensione delle migrazioni umane

Le condizioni paleoclimatiche e paleoambientali durante l’Ultimo Massimo Glaciale comportavano fluttuazioni estreme di temperatura e l’espansione delle calotte glaciali, che di conseguenza limitavano l’estensione delle aree abitate dall’uomo in tutta Europa.

Studi recenti hanno rivelato un’omogeneità genomica tra le popolazioni europee durante il periodo Gravettiano pre-LGM (33.000-24.500 anni fa). Successivamente, parte di questo pool genico sopravvisse nel rifugio franco-cantabrico con continuità genetica persistente durante il Solutrean (24.500-21.000 anni fa) e il successivo periodo archeologico e culturale Magdaleniano post-LGM (21.000-12.000 anni fa).

I risultati dello studio di El Mirón confermano questa continuità genetica, suggerendo che le popolazioni umane che abitavano la regione cantabrica durante l’Ultimo Massimo Glaciale rimasero relativamente stabili dal punto di vista genetico, adattandosi alle severe condizioni climatiche e coesistendo con varie specie di carnivori.

La scoperta della Dama Rossa di El Mirón, avvenuta nel 2010 ad opera degli archeologi Lawrence Straus dell’Università del New Mexico e David Cuenca Solana, continua quindi a fornire preziose informazioni sulla vita umana durante l’Era Glaciale, con le nuove analisi del DNA che aggiungono ulteriori strati di comprensione alle popolazioni che abitavano la regione prima e dopo il suo tempo.

More information: University of New Mexico

Gelabert, P., Oberreiter, V., Straus, L.G. et al.(2025). A sedimentary ancient DNA perspective on human and carnivore persistence through the Late Pleistocene in El Mirón Cave, Spain. Nat Commun 16, 107. doi:10.1038/s41467-024-55740-7