Il progetto Tubolan, guidato dalla geomicrobiologa Ana Miller, studia i microrganismi nelle grotte vulcaniche delle Isole Canarie per applicare le conoscenze acquisite alle spedizioni spaziali.

Lanzarote grotte ESA CAVES
Ana Miller e Francesco Sauro all'interno della Cueva de las Breñas, a Lanzarote, per il progetto Tubolan Foto di Alessio Romeo

Nelle grotte vulcaniche di Lanzarote, i ricercatori Ana Miller, Jesús Martínez Frías e Francesco Sauro, studiano i microrganismi che vivono in condizioni estreme all’interno dei tubi di lava. Ciò che è stato appreso sarà utilizzato per cercare la vita sulla Luna e, soprattutto, su Marte.

Libera traduzione dall’articolo del sito www.lavanguardia.com

I batteri all’interno delle grotte terrestri vivono in condizioni estreme, senza luce e con scarso apporto di materia organica.
Come spiega Francesco Sauro, speleologo e geologo dell’Università di Bologna, a Lanzarote, le colate laviche hanno creato delle lunghe gallerie sotterranee in cui il magna continuava a scorrere allo stato liquido mentre la lava di superficie si raffreddava. Quando l’eruzione si è esaurita, sotto la superficie è rimasto un “tubo” lungo 9 km. Così si è formato il Tubo di Lava della Corona, uno dei più grandi al mondo, che in alcuni punti raggiunge l’altezza di 50 metri.
Marte e la Luna hanno attraversato un processo simile e sulle loro superfici sono stati individuati innumerevoli tubi di lava: più di 300 sulla Luna e più di 1000 su Marte.
In entrambi i corpi celesti, tuttavia, condizioni di minore gravità e un’atmosfera più sottile – o addirittura assente nel caso della Luna – sommate a un’attività vulcanica più intensa, hanno portato alla formazione di grotte con altezze ipotizzate fino a 500 metri.

La superficie dei due mondi è considerata sterile. Grandi escursioni termiche, esposizione a radiazioni ultraviolette o l’impatto di micrometeoriti rendono la vita impraticabile in superficie.
Le grotte aliene, invece, potrebbero offrire un ottimo rifugio per gli ipotetici abitanti della Luna e di Marte.

“Se la vita esistesse su Marte, sarebbe probabilmente microbica e si svilupperebbe sottoterra. Sarebbero microrganismi chemiolitoautotrofi, in grado di utilizzare e trasformare minerali per svilupparsi e crescere”, spiega Ana Miller, geomicrobiologa dell’Istituto di risorse naturali e agrobiologia di Siviglia (IRNAS) appartenente al CSIC.

Questi batteri “mangiatori di pietre” sono quelli che il gruppo di ricercatori studia nei tubi di lava di Lanzarote, nell’ambito del progetto Tubolan guidato da Miller.
Ana Miller si occupa della parte microbiologica, mentre Sauro si occupa dello studio della mineralogia e della formazione delle grotte.
Oltre a geologi e microbiologi, fanno parte del gruppo di studiosi del progetto Tubolan anche due chimici. La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Scienza e dell’Innovazione con un investimento di 234.740 euro.

I microrganismi di Lanzarote sono perfettamente adattati per colonizzare l’ambiente estremo di una grotta, poiché possono fare a meno della luce solare e della materia organica per sopravvivere.
Queste sarebbero condizioni simili a quelle che potrebbe affrontare una ipotetica forma di vita nel sottosuolo marziano o sulla Luna.

“La superficie è molto arida e c’è pochissimo contributo di materia organica dalla superficie alla grotta, quindi i microrganismi che crescono qui sono molto particolari, altamente specializzati nell’uso di minerali e non di materia organica per crescere” dice Miller. “Che è lo stesso che pensiamo dovrebbe accadere su Marte, se c’è vita”, aggiunge Sauro.

Per questo motivo, prosegue il microbiologo, l’obiettivo della ricerca è imparare il più possibile su questi microorganismi di Lanzarote e poi applicare la conoscenza al di fuori della Terra.

“Ovviamente non si possono fare paragoni con la vita su Marte, perchè finora non è stata scoperta. Ma quello che possiamo fare è dedurre che, se ci fossero microrganismi in un ambiente molto simile a questo, sarebbero simili a quelli che troviamo qui “, spiega Jesús Martínez Frías, dell’Istituto di Geoscienze (IGEO, CSIC-UCM).

Tubolan la naturale prosecuzione di un progetto di ricerca guidato da Miller nel 2017, compreso all’interno del programma PANGEA-X dell’ESA – Agenzia Spaziale Europea. In quella occasione, l’astronauta Matthias Maurer e Jesús Martínez Frías hanno sequenziato il DNA di un campione batterico direttamente all’interno di una grotta. Secondo Miller, doveva simulare ciò che un astronauta dovrebbe fare su Marte per analizzare la possibile presenza di vita microbica.

“Tenendo conto dei buoni risultati che abbiamo ottenuto con un singolo campione e dell’esistenza di numerosi tubi di lava a Lanzarote con diverse età geologiche, è nata l’idea di un progetto scientifico per lo studio dei microrganismi in questi ambienti e la loro interazione con i minerali, “Spiega Miller.

Le grotte studiate sulla Terra dal team differiscono da quelle extraterrestri, oltre nell’età geologica, per l’alterazione dovuta all’attività umana, per a presenza di colture su di esse, per l’acqua che si infiltra e per l’accesso ad esse.
All’interno delle grotte, il team cerca aree in cui la roccia madre – la lava solidificata che a Lanzarote ha formato principalmente basalto – ha lasciato il posto a minerali secondari generati dal contatto con acqua e ossigeno, o dai batteri stessi. Tonalità rossastre, gialle o bianche che colorano le rocce ignee nere.

Nonostante l’interesse verso le grotte terrestri, finora nessuna missione sulla Luna o su Marte ha previsto l’ingresso all’interno di una grotta.
Il rover Perseverance dell’ultima missione della NASA su Marte è atterrato nel cratere Jezero, un’area dove si sa che un tempo sorgeva un lago. Lo stesso è accaduto con altre missioni che si sono concentrate sulle aree di superficie un tempo interessate dall’acqua liquida.
Non è tanto la mancanza di interesse, ma la mancanza di mezzi e tecnologie che al momento che mantiene le grotte extraterrestri fuori dalle attenzioni dei ricercatori.
Il drone Ingenuity che accompagnata Perseverance potrebbe segnare l’inizio delle indagini nelle grotte.
In futuro, piccoli dispositivi come i droni, consentiranno ai rover di muoversi e accedere a spazi dove gli attuali mezzi non possono avventurarsi. “Sarà molto interessante”, dice Francesco Sauro.

Libera traduzione dall’articolo del sito www.lavanguardia.com

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