Marco Menichetti esplora l’intersezione tra speleologia e sostenibilità, sollevando domande provocatorie sulla nostra relazione con le grotte.

Caro Andrea,

complimenti per la conduzione e la costante informazione sul mondo speleologico che fai con Scintilena.

Ho letto l’interessante e preciso resoconto sul 101 Congresso CAI “la montagna nell’era del cambiamento climatico” che si è svolto a Roma nello scorso fine settimana, proposto da Marina Abisso (Speleo Club Ribaldone) e che hai pubblicato ieri.

La preparazione e l’esposizione dei temi congressuali da parte del Comitato organizzatore è stata veramente eccellente, mostrando ancora una volta che, quando si vuole, il CAI riesce ad esprimersi al meglio su tematiche complesse ed importanti che riguardano il nostro futuro di cittadini e le relazioni che abbiamo con le montagne.

Molto stimolante è stato il richiamo del socio CAI Don Luigi Ciotti all’ etica e all’estetica dell’andare in montagna.

La mia partecipazione al Congresso è stata spinta soprattutto dall’essere speleologo ultradecennale all’interno del Club Alpino Italiano.

Volevo capire se e come le nostre attività, anche ricreative e sportive, sono compatibili e sostenibile con l’ambiente che frequentiamo, grotte incluse.

In sintesi, capire come l’attività speleologica si colloca in una rinnovata consapevolezza sulla fragilità dei sistemi naturali e sull’ambiente in genere.

Sappiamo che le grotte sono dei luoghi confinati e costituiscono importanti archivi della storia della terra, sia geologica, biologica, che climatica, ma anche della storia dell’Uomo.

Le grotte sono delle nicchie ecologiche fondamentali per la biodiversità di un territorio.

La loro frequentazione richiede pertanto una maggioreconsapevolezza da parte degli speleologi e di chi a vario titolo scopre, esplora e visita le grotte.

Ma ahimè, la parola speleologia o grotte non compare mai nei documenti e nelle tesi congressuali.

Certamente si potrà obbiettare che non potevano essere prese in considerazioni tutte le innumerevoli specialità presenti nel CAI, ma credo che la “speleo – logia” vada separata dai vari “ismo”, soprattutto per quello che rappresenta in termini di conoscenze scientifiche dei territori montani.

In ogni modo, molte delle questioni sollevate durante il congresso investo in pieno il mondo dell’associazionismo speleologico.

Tra questi ci sono certamente le parole “limite” e “libertà” intese soprattutto nell’agire, che sono state evocate in diversi interventi. Il Prof. Marco Giardino del Comitato Glaciologico Italiano ha affermato provocatoriamente, a ragione, che oramai per calpestare quello che rimane dei nostri ghiacciai, forse bisognerebbe chiedere il permesso.

Ed in questo contesto, credo che sia arrivato il tempo di porsi delle domande sulla pratica della speleologia e la prospettiva futura che dobbiamo dargli.

In occasione del raduno speleo 2018 a Casola, in un dibattito proprio sull’etica speleologica, Carlo Alberto Pinelli (fondatore di Mountain Wilderness) aveva richiamato un proverbio Zen che dice “chi è solo curioso non ha diritti”.

Ricordo che in maniera provocatoria avevo aggiunto che la sola curiosità non è né la condizione necessaria e non è certamente sufficiente per visitare un luogo, confinato e molte volte delicato, come una grotta.

La comunità speleologica da molti anni è particolarmente sensibile alla salvaguardia del mondo sotterraneo ed è stata la prima a proporre il concetto di “sistema carsico” che integra gli ecosistemi del suolo, attività antropiche incluse e il sottosuolo anche all’interno del più complesso ciclo dell’acqua.

Gli speleologi conoscono molto bene la differenza tra vedere ed osservare una grotta e in questo visone, credo che sia arrivato il momento di fare un passo avanti per conoscere gli impatti che l’attività speleologica ha sul mondo sotterraneo.

Quello che mi chiedo e la domanda che provocatoriamente pongo a tutti, è se è lecito oggi, alla luce delle conoscenze scientifiche e delle tecniche sportive che conosciamo, frequentare tutte le grotte per scopi puramente sportivo-ricreativi.

Conosciamo delle grotte dove i dati scientifici ci dicono la nostra presenza incide sull’ atmosfera, idrosfera, biosfera e geosfera sotterranea.

Non sarà forse il caso di limitare l’accesso e magari chiudere queste cavità e lasciare che generazioni future di speleologi studino con altri mezzi meno invasivi e tecnologicamente più avanzati questiluoghi? Quali sono le finalità oggi dell’entrare in una grotta ? Ci sono tante altre domande che possiamo porci anche sulle modalità esplorative come ad esempio se ha senso oggi, la continuazione dell’esplorazione di una cavità se non sono cartografate le parti già scoperte.

Ovviamente il discorso è molto ampio e complesso e certamente va approfondito con il coinvolgimento della comunità speleologica.

Queste ed altre tematiche potevano essere espresse al Congresso CAI dai nostri rappresentanti speleo e certamente discusse sia all’interno della stessa speleologia CAI che nel mondo speleologico.

Un aforismo citato nel congresso è stato “Se non sei seduto a tavola, sei sul menù” peccato che la “speleologia CAI”non era né seduta al tavolo ne compariva nei menù.

Marco Menichetti, Socio CAI

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