La millenaria città ipogea turca rivela un sofisticato sistema di difesa e abitazioni per migliaia di persone
L’antica regione della Cappadocia, situata nella Turchia centrale, custodisce uno dei più affascinanti esempi di architettura scavata nella roccia: la città sotterranea di Derinkuyu. Secondo le più recenti ricerche condotte dal Centro Studi Sotterranei di Genova e dal gruppo O’MAG di Istanbul, in questa regione sono stati georeferenziati ben 364 antichi insediamenti sotterranei, distribuiti su un’area di oltre 20.000 km² composta principalmente da grandi formazioni tufacee e altre rocce vulcaniche, a un’altitudine media compresa tra 1.000 e 1.500 metri sul livello del mare.
Costruire in negativo: un’architettura scavata nella storia millenaria
La Cappadocia, centro dell’impero ittita e successivamente dei regni frigio, assiro e persiano, conquistata dai Greci sotto Alessandro Magno, poi importante provincia romana (17 a.C.) e bizantina, saccheggiata a lungo dagli Arabi tra il VII e il X secolo d.C., conquistata dai Turchi selgiuchidi nel 1175 e infine assorbita dagli Ottomani dalla seconda metà del XV secolo, ha una storia che attraversa millenni di dominazioni.
Spinti da eventi storici, indotti da condizioni climatiche e favoriti da caratteristiche litologiche e morfologiche, gli abitanti di questa regione hanno spesso privilegiato, nel corso dei secoli, l’architettura scavata rispetto a quella costruita. Oltre alla necessità di mimetizzazione e difesa, si ritiene che l’origine di queste cavità antropiche derivi dalla facilità con cui si potevano lavorare le masse rocciose, composte principalmente da cineriti e ignimbriti, che sono tenere ma resistenti alla compressione al punto da permettere lo scavo di grandi sale senza supporti verticali e orizzontali.
In queste condizioni, le strutture sotterranee erano indubbiamente più facili da realizzare rispetto agli edifici in muratura, senza bisogno di operai specializzati e materiali da costruzione specifici. Inoltre, possedevano un buon livello naturale di inerzia termica che permetteva agli abitanti di proteggersi dalle grandi differenze di temperatura stagionali, mantenendo le stanze fresche in estate e gradevoli in inverno.
L’antico habitat rupestre: funzioni e strutture di una civiltà nascosta
Sebbene in perfetta armonia con l’ambiente naturale, l’antico habitat rupestre della Cappadocia è oggi quasi completamente abbandonato e si degrada progressivamente a causa dei fenomeni combinati dell’erosione, della gelificazione, della deflazione, della gravità e, più recentemente, dell’impatto dell’uomo. L’ultimo villaggio rupestre abitato, Zelve, è stato evacuato dalle autorità nel 1950 a causa del rischio di crollo delle pareti rocciose, un pericolo che continua a evolversi ancora oggi.
In questi siti ipogei, dispersi su tutto il territorio, secondo il ricercatore americano Ousterhout (2017), si trovano i resti di almeno un migliaio di chiese rupestri, le più antiche risalenti al IV secolo, che poi hanno conosciuto un enorme sviluppo in epoca bizantina fino al XIII secolo. Ma ogni insediamento è in realtà costituito da un gran numero e una grande varietà di strutture, che penetrano nelle pareti delle formazioni tabulari, nelle falesie lungo le incisioni delle valli, nei pinnacoli in cui si sono rotti i burroni, o direttamente sotto il livello del suolo.
Si tratta di semplici complessi rurali o residenze più elaborate di proprietari terrieri, con le loro infrastrutture, interamente scavate nella roccia: colombaie, apiari, stalle, frantoi, magazzini, cucine, refettori e tombe. Naturalmente, nelle valli esistono anche appropriati sistemi idrici sotterranei, come tunnel per la regolazione delle acque di deflusso, opere di captazione, cisterne e pozzi, spesso scavati all’interno degli stessi complessi ipogei.
Sistemi difensivi sotterranei: l’ingegneria della sicurezza antica
Quasi tutti gli insediamenti sono dotati di dispositivi di difesa, al punto da diventare veri e propri rifugi sotterranei, costituiti da una successione di tunnel e camere interconnessi che si estendono in reti per centinaia, se non migliaia di metri. La loro caratteristica principale sono le innumerevoli porte in pietra, a forma di macina, del peso fino a oltre due tonnellate, che possono essere azionate solo dall’interno e che sono completate da botole orizzontali e verticali, aperture nascoste nei soffitti e nelle pareti e passaggi stretti progettati per la difesa reciproca o come vie di evacuazione.
Gli abitanti attuali della regione chiamano generalmente ogni struttura individuale “yeralt sehri”, letteralmente “città sotterranea”, ma bisogna dire che, per quanto estese e articolate possano essere, in quasi tutti i casi devono essere considerate come semplici colonie, modesti complessi monastici o, al massimo, come villaggi rupestri o, di fatto, rifugi. Molto pochi o nessun insediamento sotterraneo può essere considerato come una vera agglomerazione urbana e, come vedremo, come direttamente collegato agli edifici più antichi che costituiscono le rispettive città di superficie.
Derinkuyu: un iceberg di pietra nel cuore dell’Anatolia
Nel vasto panorama delle cavità artificiali della Cappadocia, la “città sotterranea” di Derinkuyu, situata nel capoluogo del distretto omonimo, rappresenta un morfotipo eccezionale già per la sua situazione. Situata sull’ampio altopiano, a 28 km a sud di Nevsehir (il capoluogo provinciale), a un’altitudine di 1365 m sul livello del mare, invece di svilupparsi in un rilievo roccioso, si immerge attraverso grandi pozzi di circa 45 m nelle formazioni ignimbritiche che si estendono sotto il piano quasi piatto del centro della città.
Come un iceberg (di pietra), la parte che penetra sotto il livello del suolo è quindi in media da sei a dieci volte più profonda dell’altezza degli edifici di superficie dell’antica Malakopea, o Malagobia, oggi conosciuta come “Pozzo profondo”, cioè Derinkuyu in turco.
Omer Demir, il primo conservatore del sito attrezzato nel 1965 per le visite guidate, stima che ci siano più di 600 ingressi nell’intero complesso, oltre all’ingresso turistico, nascosti nelle abitazioni di superficie. A dire il vero, questa cifra sembra eccessiva e, in ogni caso, poco affidabile, poiché non esiste una ricerca sistematica sull’argomento. Le ricerche del Centro Studi Sotterranei hanno documentato alcuni accessi alle zone circostanti, abbandonati e attualmente non collegati al complesso principale aperto al pubblico. Si trovano nei cortili interni di abitazioni in muratura, in cantine, magazzini o, in un caso, l’accesso è nascosto sotto i fornelli di una cucina.
La struttura interna: un labirinto organizzato su più livelli
Interpolando le informazioni dirette e indirette sul settore turistico (Derinkuyu 1) con la documentazione acquisita dal Centro di Studi su uno dei sistemi sotterranei adiacenti (Derinkuyu 4), si può descrivere schematicamente la configurazione di questo gigantesco complesso.
Si distinguono essenzialmente tre fasce principali sovrapposte, con piani intermedi che si irradiano in una sorta di struttura elicoidale attorno a un pozzo principale che viene intercettato più volte a diversi livelli. Nella prima fascia, la più vicina alla superficie, si trovano gli ingressi, generalmente nascosti all’interno di edifici in muratura. Vi si trovano magazzini, a volte ancora utilizzati, frantoi, rifugi per animali e, in alcuni casi, chiese con refettori.
Diverse gallerie inclinate, ciascuna protetta da una porta a caditoia, scendono fino alla cintura intermedia dove si trova una rete più articolata di stanze scavate su livelli sfalsati, probabilmente utilizzate in origine come zone abitative. Sono attraversate da una serie di tunnel interconnessi, vere e proprie “strade” sotterranee, molte delle quali, le più periferiche, sono ostruite da riempimenti o crolli, o volutamente murate per evitare che, nella parte aperta al pubblico, i visitatori imprudenti si perdano in questo labirinto buio e complesso, nel quale è facile disorientarsi.
L’ingegneria difensiva: un rifugio per tempi di crisi
Da questa zona partono ancora altri tunnel, ripidi e stretti, dove bisogna abbassarsi. Sono interrotti da numerose piccole camere che permettono di manovrare le porte delle macine, posizionate in sequenza immediatamente dopo i bruschi cambi di direzione, al fine di aumentare l’efficacia difensiva dei dispositivi di chiusura. In questo modo, le camere scavate nella fascia più profonda potevano essere utilizzate dagli abitanti come ultimo rifugio in caso di incursione.
Il fabbisogno temporaneo d’acqua era garantito da un pozzo di servizio che si alimenta ancora nella falda acquifera, mentre la ventilazione era assicurata dal pozzo principale collegato all’esterno, che permette ancora oggi di visitare facilmente l’ipogeo.
I settori adiacenti, con alcune differenze, sembrano essere stati costruiti secondo gli stessi criteri ed erano originariamente collegati da tunnel che oggi sono occlusi o parzialmente distrutti.
Le fasi di costruzione: una progettazione ingegnosa
La costruzione di questo straordinario complesso si è svolta presumibilmente in tre fasi principali:
Fase 1: scavo di pozzi verticali indipendenti per estrarre i detriti, anche nella fase successiva, e per garantire la ventilazione.
Fase 2: scavo radiale a partire da ogni pozzo per creare camere e tunnel su livelli sovrapposti e pozzi di servizio per raggiungere la falda acquifera.
Fase 3: giunzione delle camere dei diversi livelli di ogni settore e dei settori adiacenti mediante tunnel scavati secondo la tecnica della faccia opposta. Preparazione di dispositivi difensivi tra i piani e tra i settori.
Un’organizzazione di questo tipo, oltre alla sua vocazione urbana, aveva quindi funzioni di rifugio contro le incursioni e, in caso di conquista di un settore da parte di aggressori, era concepita in modo da permettere agli abitanti di isolare un’intera sezione, di spostarsi facilmente da un punto all’altro, di aiutarsi a vicenda o di organizzare un contrattacco attraverso passaggi alternativi.
Questo straordinario complesso architettonico rappresenta una testimonianza eccezionale dell’ingegnosità umana e della capacità di adattamento alle condizioni ambientali e storiche, costituendo oggi una delle più significative attrazioni archeologiche della Turchia centrale, meta di numerosi visitatori da tutto il mondo.
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