Nuova ricerca rivela la persistenza del magma nelle profondità vulcaniche

Serbatoi di magma sotto i vulcani dormienti delle Cascades

Uno studio recente ha individuato ampi serbatoi di magma sotto i vulcani dormienti della catena delle Cascate, nel Pacifico nord-occidentale.

Questi depositi, pur non indicando un’eruzione imminente, suggeriscono che il magma possa rimanere attivo nella crosta superiore per migliaia di anni, anche in assenza di attività vulcanica recente.

Pubblicata il 23 gennaio sulla rivista Nature Geoscience, la ricerca offre nuove informazioni sulla dinamica interna dei vulcani e potrebbe avere implicazioni significative per il monitoraggio delle eruzioni future.

Le caratteristiche dei serbatoi di magma individuati

Gli scienziati si interrogano da tempo sulla persistenza del magma nei vulcani dormienti: si accumula poco prima di un’eruzione o può rimanere stabile per lunghi periodi? Questo studio suggerisce che, almeno nella regione delle Cascate, i serbatoi di magma possono durare per millenni senza dare origine a eruzioni.

I ricercatori hanno scoperto che molti vulcani, indipendentemente dalla loro frequenza eruttiva, ospitano grandi masse di magma.

Secondo Guanning Pang, primo autore dello studio e ricercatore presso la Cornell University, “queste masse magmatiche sembrano esistere per l’intero ciclo di vita del vulcano, non solo nelle fasi di attività”.

Nonostante la loro presenza, questi serbatoi non sono attualmente in condizioni critiche: sono parzialmente fusi e la percentuale di magma liquido al loro interno non è sufficiente a scatenare un’eruzione.

Monitoraggio sismico e individuazione delle camere magmatiche

I risultati della ricerca sono stati possibili grazie a un aggiornamento delle stazioni di monitoraggio sismico dello U.S. Geological Survey nella catena delle Cascate.

Gli scienziati hanno analizzato il comportamento delle onde sismiche provenienti da terremoti distanti mentre attraversavano il sottosuolo di vulcani come il Monte St. Helens, il Monte Rainier e il Lassen Peak.

Hanno osservato un rallentamento della velocità delle onde sismiche fino al 70% sotto le cime vulcaniche, un fenomeno che suggerisce la presenza di materiali parzialmente fusi.

Questi serbatoi di magma si trovano a una profondità compresa tra 5 e 15 chilometri sotto la superficie.

Le implicazioni per la sorveglianza vulcanica

I dati raccolti indicano che la presenza di serbatoi magmatici è più comune di quanto si pensasse, anche in vulcani considerati dormienti.

Questo pone nuove sfide per il monitoraggio e la previsione delle eruzioni, poiché la semplice presenza di magma non implica necessariamente un’attività imminente.

Le stazioni sismiche hanno rilevato questi serbatoi sotto il Monte Rainier, il Monte St. Helens, il Monte Hood, il vulcano Newberry, Crater Lake e il Lassen Peak.

Invece, il Monte Shasta e il complesso delle Three Sisters non hanno mostrato gli stessi segnali, ma potrebbe essere dovuto a una copertura sismica insufficiente.

L’inflazione del terreno registrata negli ultimi anni nell’area delle Three Sisters suggerisce comunque movimenti di magma in profondità.

Questo dimostra l’importanza di un monitoraggio costante per comprendere meglio l’evoluzione dei sistemi vulcanici.

Nuove prospettive per la ricerca sui vulcani

A differenza dell’immagine popolare che vede i serbatoi di magma come enormi laghi sotterranei, la realtà è più complessa.

Il magma si infiltra attraverso rocce porose, e solo quando la frazione liquida supera il 35% si crea un rischio di eruzione.

Gli scienziati non dispongono di misurazioni dirette sulla percentuale di magma fuso nei serbatoi studiati, ma le stime indicano valori tra il 3% e il 32%.

Anche se il valore fosse vicino al limite superiore, ciò non implicherebbe necessariamente un’eruzione imminente: la percentuale di magma liquido può rimanere stabile per decenni o ridursi nel tempo.

I vulcani delle Cascate sono tra i più monitorati al mondo, ma per molti altri vulcani attivi mancano dati approfonditi.

L’uso di tecniche sismiche avanzate potrebbe fornire un quadro più chiaro anche per altre aree vulcaniche globali. Secondo Geoffrey Abers, coautore dello studio, “una migliore comprensione della distribuzione del magma migliorerebbe significativamente le capacità di monitoraggio e previsione dell’attività vulcanica”.

Fonte: https://www.facebook.com/share/1KP1fyLLp1/?mibextid=wwXIfr